lunedì, Maggio 29 2023

Albuquerque. New Messico. Un professore liceale di chimica, saputo di
essere malato di cancro, inizia a produrre in segreto droga sintetica: per
accumulare soldi e assicurare un sostegno economico alla sua famiglia
quando lui sarà morto. Così Walter White, aiutato da un ex allievo
tossicomane, esce dal seminato di una vita piccolo borghese di provincia e
se ne allontana rapidamente, lungo una deriva vorticosa, sempre più voluta.

Con rocambolesche manovre per difendere la facciata – un uomo perbene,
innamorato della moglie che è incinta di una bambina, il buon padre di un
figlio maggiore adolescente che gli vuole gran bene – Walter si inoltrerà
nel mondo delle gang. Tratterà con i cartelli messicani, ucciderà,
diventerà lui stesso un narcotrafficante.

E’ la storia raccontata nelle cinque stagioni (2008-2013) di Breaking Bad, coprodotta da Sony e AMC, il canale
via cavo statunitense che ha trasmesso la serie. Un successo di critica
senza precedenti. Un po’ meno di ascolti: il telefilm è stato apprezzato da
una nicchia di un milione e mezzo di spettatori, saliti a cinque
nell’ultima parte della stagione conclusiva. Ma succede spesso con le serie
trasmesse dalle reti a pagamento.

Breaking Bad
rappresenta il culmine di una poetica centrata sull’idea dell’antieroe,
cioè di un tipo di personaggio moralmente compromesso, che sbanda e compie
azioni cattive (il titolo è traducibile con “diventare cattivi”, “perdere
la bussola”). E’ l’ottica con cui il telefilm esplora il tema della
responsabilità morale. Per essere più precisi, il tema delle conseguenze
della condotta immorale. Ogni passo del protagonista verso il male,
infatti, ha ripercussioni tali da rendergli la risalita sempre meno
praticabile. Come lo volesse punire, il destino lo insegue per vie tortuose
facendogli pagare a distanza, e a sorpresa, conti salatissimi.

Uno dei tanti aspetti per cui il telefilm è interessante è la sua scrittura
oculata affinché il pubblico non sia disturbato dal fatto che Walter ha
forti ombre. Il creatore dello show, Vince Gilligan, sottolinea alcuni
elementi nel suo telefilm essenziali a sostenere l’empatia del pubblico per
un protagonista che fa cose cattive: la recitazione da fuoriclasse
dell’interprete Bryan Cranston, la genialità del professore nella sua
materia e nel sapersela cavare, la pietà che suscita quando lo vediamo
maltrattato dagli alunni o ammalato. Più di tutto, però, conta il fatto che
il personaggio abbia “profondità” umana.

Mr. White ama la sua famiglia. Quello che fa, lo fa per loro. Lo ripete
continuamente. E Mr. White ha una coscienza. E’ un professore della vecchia
scuola e un padre all’antica. Un insegnante forgiato alle buone maniere,
spiazzato dallo slang giovanile, infastidito dal rilassamento dei costumi,
che insegna bene e crede nell’educazione. Uno che quando fa del male sa che
lo sta facendo. Ne soffre. E si è dovuto vincere per farlo. Per esempio,
nella prima stagione, catturato uno spacciatore che vuole ammazzarlo,
scoperto che quello si sta liberando, Mr. White lo uccide dopo lungo
rovello. Avendo soppesato (perfino annotandoli su un foglio di carta!) i
tanti contro e l’unico pro: “se non lo faccio, lui ucciderà tutta la mia
famiglia”.

Per buona parte della serie è l’amore per i suoi cari a dare al professor
White il coraggio di procedere sulla cattiva strada. Allo stesso tempo, c’è
in lui la lancinante consapevolezza che la sua condotta criminale è
incompatibile con i legami cui più tiene. Emblematico un passaggio della
terza puntata della seconda stagione. La scoperta di un secondo telefonino
ha insospettito e preoccupato la moglie del professore, già sotto pressione
per la malattia del marito e per una sua misteriosa scomparsa durata
giorni, al termine della quale l’uomo è stato ricoverato per un sospetto
stato dissociativo. Nessuno sa che Walter, uscito di nascosto
dall’ospedale, è tornato a casa. Mr. White nasconde soldi sporchi e
pistola. Quindi, non visto, osserva la sua famiglia. In loro vede la sua
innocenza perduta. Con questo sentimento, sempre di nascosto, esce di casa.
Vaga per la città. Quindi torna in ospedale, dove si sottopone alla chemio.
Sulla parete di fronte a lui, nota allora il quadro di un uomo che rema su
una barca verso il largo, allontanandosi dai suoi cari, rimasti a terra.
Walter ne è inevitabilmente colpito. Lo spettatore capisce: in quel quadro
si palesa il suo destino, si annuncia che la forza del male lo porterà via
per sempre a sé stesso.

Il brivido della trasgressione e la fascinazione del male, che pure sono
ingredienti del telefilm, non sono tutto. C’è in Breaking Bad la tensione ad un’innocenza perduta,
il senso di un doloroso allontanamento da quella condizione.

In coerenza con la sua idea di partenza, la serie porta alle estreme
conseguenze la deriva del personaggio. Walter White è nella quinta e ultima
stagione un altro uomo. Si identifica con il cattivo nato e cresciuto
dentro di lui. Ma anche allora lo spettatore ha presente come è stato
sofferto il tirocinio al male vissuto dal protagonista lungo la serie. Ha
presente la fatica del lungo distacco dalla parte migliore di sé, dagli
affetti più intimi. Anche quando Walt, nell’ultima puntata, confessa alla
moglie di aver capito che tutto quello che ha fatto lo ha fatto per sé,
“per sentirsi vivo”, non per la sua famiglia. Anche quando, ferito a morte,
accarezza nel laboratorio le attrezzature con cui è diventato il produttore
di droga più bravo del mondo. Anche allora, il pubblico gli vuol bene
perché ha ancora negli occhi l’umanità del personaggio che la serie ha via
via prosciugato. Perché ha negli occhi la carezza d’addio che Walt, prima
dell’ultima sparatoria, ha dato alla figlia, addormentata nel suo lettino,
innocente.

Nota: riduzione dell’articolo originale intitolato “La crisi del padre
nelle serie cable statunitensi: i casi di ‘Mad Men’, ‘Breaking Bad’ e ‘In
Treatment’ pubblicato su Comunicazioni Sociali, 2014, n.2,


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