mercoledì, Settembre 27 2023

Uno dei miei film preferiti è “Nanook l’eschimese”, ( Nanook of the North, 1922), di Robert J. Flaherty. Lo
considero un’opera maestra, ma mi piace specialmente perché l’ho
scoperto da adolescente; si tratta di un rigoroso documentario sulla
vita e le tradizioni degli eschimesi agli inizi del XX secolo ma anche
un meraviglioso racconto di avventure. Ha fatto parte della mia
educazione insieme ad altrettanti film, libri ed opere d’arte che oggi
siamo soliti chiamare “non commerciali.”

Esploratore, geologo e cartografo, Robert Joseph Flaherty ebbe un primo
contatto con gli eschimesi esplorando la Baia di Hudson, in Canada, per
conto dell’imprenditore delle ferrovie William Mackenzie. Mackenzie
l’incoraggiò a documentare la sua terza spedizione con una innovazione:
una camera cinematografica Bell and Howell con la quale Flaherty
sviluppò ben 10.000 metri di pellicola registrando il paesaggio ma
anche le abitudini dei suoi abitanti, che ogni volta gli interessavano
di più. Successivamente il film si perse in un incendio nella sala di
montaggio di Toronto. Tuttavia, il disastro fu visto da Flaherty come
l’opportunità per girare un nuovo film, poiché non era soddisfatto del
primo registrato sulla vita degli Inuit. Cosicché, con nuove idee, una
nuova messa a fuoco, ed il finanziamento dell’impresa di pelliccie
Revillon Frères, Flaherty ritornò alla Baia di Hudson, per girare un
nuovo film.

Flaherty, che stando alle sue parole, pretendeva di “mostrare l’antico
carattere maestoso di queste persone finché ciò era ancora possibile,
prima che l’uomo bianco distruggesse non solo la sua cultura, ma anche
il paese stesso”, decise di concentrarsi sulla vita di un eschimese,
Nanook il cacciatore, e della sua famiglia perché si accorse che solo
in questo modo poteva narrare l’autentica vita di tutti gli abitanti di
Port Huron. Nel primo film aveva ripreso persone ed azioni, ma ora
avrebbe filmato le azioni di una sola persona. Inoltre, in questa
occasione, portò con sé un laboratorio portatile per sviluppare il
materiale direttamente sul luogo, affinché Nanook e la sua famiglia
vedessero il filmato e capissero il processo del film passo a passo.
Normalmente si dice che Flaherty non fece il suo film su
Nanook bensì con Nanook. Credo che questa è la decisione che
trasformò Flaherty in un vero cineasta che diede senso e direzione alle
sue riprese. L’idea è antica: “l’uomo è la misura di tutte le cose
create.”

Flaherty visse con Nanook e la sua famiglia per più di un anno. Filmò
come cacciavano, come pescavano, come commerciavano, come si
alimentavano, come costruivano i loro igloo ed i loro kayak, come
giocavano e si divertivano, come educavano ed imparavano, come amavano
e vivevano. Con scarse risorse tecniche ottenne un affresco vivido e
complesso, inusuale ma bello al tempo stesso, sulla sopravvivenza di un
gruppo di esseri umani in condizioni estreme, e sulla solidarietà e
l’ingegno.

Come normalmente succede con le opere maestre, Nanook of the North ha generato una pluralità di letture ed
analisi che incidono su aspetti particolari, come i metodi di ripresa
di Flaherty o l’influenza del suo film nella Weltanschauung
dei suoi contemporanei, secondo il paradigma del momento. Ammiratori e
detrattori hanno fatto le loro considerazioni, rivendicando l’indubbia
bellezza formale del film attraverso una cinefilia realmente ingenua,
oppure attribuendogli effetti perversi come l’aver incoraggiato il
colonialismo.

Non è certo questo lo spazio giusto per offrire un catalogo di
interpretazioni, descrivere la genesi del film o smascherare discorsi
sospettosi; è bene però affermare i valori che il film di Flaherty può
apportare alla famiglia e alla comunità nella nostra epoca. Nanook
mostra valori positivi come la solidarietà, la cooperazione, l’affetto,
il buon umore, l’educazione di genitori verso i propri figli e la lotta
cosciente per la sopravvivenza. Credo che Flaherty ha realizzato un
film molto sensibile, con un ritratto della famiglia di portata
globale. Non dissimulo la mia ammirazione per questo film, che
considero un’opera maestra.

In generale credo che l’idea che la cosa bella e la cosa buona si
presentano sempre uniti nelle opere d’arte sia erronea. Basti pensare aLa nascita di una nazione di David Wark Griffith o al Il trionfo della volontà diretta da Leni Riefenstahl
nel 1934. Entrambe hanno incoraggiato processi sociali catastrofici, il
loro contenuto è a dir poco diabolico, nonostante la loro costruzione
cinematografica sia prodigiosa.

Win Wenders apre il suo stupendo film documentario Tokyo – Ga
(1985), sull’opera del cineasta giapponese Yasujir Ozu, con parole
realmente belle e credo anche buone: “Per quanto sono tipicamente
giapponesi questi film, sono contemporaneamente universali. Io ho
rivisto in loro tutte le famiglie del mondo intero, ed anche i miei
genitori, mio fratello e me stesso. Per me, mai, né prima né dopo, il
cinema è stato tanto vicino alla sua essenza e al suo proposito:
offrire un’immagine dell’uomo del nostro secolo, un’immagine utile,
vera e valida nella quale possa riconoscersi sé stesso ma soprattutto
possa imparare qualcosa di sé stesso”.

Credo che succeda qualcosa di simile con Nanook of the North.
Flaherty pensava che il successo del suo documentario si doveva al
fatto che gli spettatori di tutto il mondo, assistendo alla vita di
questa famiglia eschimese con i privilegi che il cinema concede,
potevano riconoscere la propria vita. Al margine di tutte le
contraddizioni che esistono in qualunque opera d’arte, credo che il
film di Flaherty offra quell’immagine utile, vera e valida nella quale
tutti possono riconoscersi.

Pensando al panorama attuale dei prodotti cinematografici, credo che
sarebbe una buona idea “riscattare” Nanook dell’arcadia cinefila e
programmarla nelle aule dosata in piccoli spezzoni, oppure proiettarla
per intero ma convenientemente spiegata da un insegnante o un esperto.
Questo lavoro è stato realizzato per ora solo in alcune scuole con un
approccio che considero timido, quasi sempre come appoggio a una
determinata materia umanistica. Per me la ragione è evidente. Nessun
genitore avrebbe da ridire sullo studio della matematica, della lingua
o della fisica, ma il cinema, nonostante l’importanza storica ed un
grande numero di opere singolari, continua a essere visto come un
passatempo.

Nel frattempo, bambini ed adolescenti sono parcheggiati per ore ed ore
di fronte ai televisori e ai computer di casa con il “controllo
parentale” perché non prendiamo in fondo sul serio che l’immagine
audiovisiva trasmetta valori e modelli comportamentali. Alcuni occhi
più sensibili possono educarsi con lo sguardo di cineasti che
illuminano la nostra realtà e che staccano la nostra coscienza dai
messaggi più immediati.

(*) Javier Bosch Azcona è collaboratore in progetti di ricerca
dell’Università Cattolica di Valencia, produttore e sceneggiatore

Filmografía de
Robert J. Flaherty

Nanook of the North (1922)

The Potterymaker (1925)

Moana (1926)

The Twenty-Four-Dollar Island (1928)

White Shadows in the South Seas (1928)

Industrial Britain (1933)

The Glassmakers of England (1933)

The English Potter (1933)

Art of the English Craftsman (1933)

Man of Aran (1934)

Elephant Boy (1937)

The Land (1942)

Louisiana Story (1948)

The Titan: Story of Michelangelo (1950)

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