sabato, Giugno 10 2023

Presentato nelle scorse settimane a Milano, presso l’Università Cattolica
del Sacro Cuore, il primo rapporto di Focus in Media, Osservatorio della
Fondazione per la Sussidiarietà, promosso in collaborazione con Sky Italia
e a cura di OssCom, l’attivissimo Centro di ricerca sui media e la
comunicazione della Cattolica diretto da Piermarco Aroldi.

Primo capitolo del progetto triennale “Televisione e Infanzia”, il report
descrive l’offerta tv per il target da 0 a 14 anni in Italia al tempo del
digitale terrestre e del satellite e offre un contributo critico e
propositivo più generale dai rilevanti risvolti educativi e socioculturali,
considerate le istanze antropologiche che investono il nostro tempo.

Offerta boom –
Sparita quasi del tutto dalle reti generaliste italiane, a causa del
disinvestimento operato dai principali player nazionali pubblico (Rai) e
privato (Mediaset) che l’ha relegata in collocazioni residuali, la tivù per
bambini e preadolescenti è approdata sulle ali della tecnologia digitale al
variegato mondo dell’offerta tematica, grazie al satellite prima e al
digitale terrestre poi. Con i suoi ventidue canali dedicati – calcolo che
non include le versioni timeshifted +1 e +2, a programmazione
differita – l’Italia è oggi tra i Paesi europei che possono vantare una
maggiore quantità di offerta, assieme a Regno Unito, Spagna e Germania.
Come si è detto, sono due i principali sistemi di distribuzione: il
digitale terrestre, piattaforma in chiaro o a pagamento universalmente
accessibile, su cui operano i principali player nazionali (commerciali e di
servizio pubblico); il satellite, piattaforma a pagamento su cui operano
perlopiù i player transnazionali. Dei ventidue canali, sette sono
accessibili gratuitamente sul digitale terrestre e quindici a pagamento sul
satellite e il digitale terrestre, con una quota totale ad accesso libero
pari a un modesto 19%, superiore all’ancora più modesto 16,3% calcolato a
livello europeo, dove ben 245 canali sui circa 300 complessivi risultano
essere a pagamento. A questo proposito, stando ai dati raccolti, l’appeal
dei prodotti per i più piccoli si rivela un vero e proprio driver del
mercato pay soprattutto per il digitale terrestre.

Player nazionali e transnazionali –
Tra gli operatori nazionali, occupano un posto di rilievo Rai e Mediaset, i
due soggetti che da sempre condizionano il sistema tv italiano. Accanto ai
due moloch, il gruppo De Agostini e l’editore Switchover Media (entrato di
recente nel gruppo Discovery), entrambi già presenti sul satellite, regno
incontrastato dell’operatore a pagamento Sky Italia. E proprio guardando al
gruppo sat pay di Rupert Murdoch, e al suo bouquet ‘italiano’ di circa 30
canali (18 primari più versioni timeshifted), spuntano i player
statunitensi che dominano il mercato internazionale: Disney, Viacom e
Turner. Accanto ad essi, oltre ai citati De Agostini e Switchover Media, la
britannica ChelloZone, il gruppo Fox, e, ultimo arrivato, Planet Kids, col
suo palinsesto multiculturale in doppia lingua. Da segnalare per il sat
free i due canali di Al Jazeera dedicati ai giovanissimi spettatori di
lingua araba. I ricercatori di OssCom non mancano di sottolineare, a
proposito di player, l’impegno della concessionaria pubblica Rai capace,
con i suoi due canali tematici dedicati alle fasce prescolare e scolare, di
porsi ai vertici di un ideale (e non “speciale”) miniclassifica europea di
area, in coabitazione con la mitica BBC, modello assoluto per standard di
qualità e di servizio al pubblico, per molti versi ancora lontano
dall’essere eguagliato. In proposito, un dato su tutti: stando a quanto
emerge dalla ricerca, la Rai spende ad oggi solo un quinto dell’omologa
inglese per la produzione originale dedicata al segmento kids-tweens.

Target –
Le strategie di posizionamento all’interno dello scenario competitivo si
ispirano a criteri di sesso dell’audience, e soprattutto di tipo
anagrafico. Tenendo conto in particolare di questa seconda variabile, più
che consolidata a livello internazionale, il menù della tv italiana tende a
distinguersi sulla base dell’età dei destinatari: quattordici canali per la
fascia scolare da 7 a 14 anni; sette per la fascia prescolare da 3 a 6
anni; uno per i poco più che neonati, la fascia prima infanzia da 0 a 3
anni. Riguardo alle strategie mirate al sesso, non mancano esempi
importanti, come nel caso della Disney che coi suoi canali Disney XD,
orientato a un pubblico maschile e Disney Channel, più femminile, persegue
precise politiche di nicchia. Più in generale, le strategie relative alla
differenziazione di sesso praticate dai vari player riguardano soprattutto
la programmazione destinata alla fascia scolare.

Tra educational e entertainment –
Comesi preciserà ulteriormente in tema di criticità, nello scenario tivù
italiano per bambini e preadolescenti emergono dinamiche di omologazione di
varia origine. Non mancano, tuttavia, segnali positivi connessi a processi
di sperimentazione lungo l’asse educational-entertainment. La
programmazione per la fascia prescolare ruota perlopiù attorno a titoli di
animazione e si caratterizza per una forte impronta educativa. Ad essere
valorizzata, in particolare, è la dimensione partecipativa e interattiva
mediante schemi narrativi che mirano a coinvolgere il pubblico. Un esempio: Missione cuccioli di DeAKids, in cui i bambini imparano a
prendersi cura del proprio cagnolino con l’aiuto di un dog-trainer. Più
complessa la programmazione destinata alla fascia scolare, meno specifica
di quella prescolare e aperta a un target il più ampio possibile, che tende
a disperdersi sull’intera offerta televisiva giovanile e adulta, in
un’ottica di vera e propria adolescentizzazione dell’offerta. La necessità
di intercettare più sotto-target spinge ad attingere a piene mani
all’esperienza dei canali generalisti, con palinsesti basati in gran parte
sull’intrattenimento e su titoli e personaggi tratti dai blockbuster
transnazionali. Un entertainment in alcuni casi ‘sicuro’, basato su un
«patto fiduciario garantito dal brand», quasi sempre disponibile dietro
pagamento di un abbonamento; in altri casi, ‘totale’: divertimento allo
stato puro centrato su talent show, live-action a carattere seriale –
sit-com e teen-soap ambientate in istituti scolastici o in ambito familiare
–, format factual (legati ad aspetti della quotidianità, come vestirsi o
cucinare) pensati per gli adulti e poi riformulati ad hoc in
chiave tutorial/how-to (sotto forma di competenze da apprendere) a misura
del nuovo target.

Marketing 2.0 –
Nell’insieme, una programmazione premiata dagli ascolti e rinforzata dalla
presenza di volti noti, spesso partoriti dall’infinita fucina dei talent e
dei reality della tv generalista, apprezzati dal pubblico dei più giovani e
dunque decisivi nelle strategie di accreditamento e di identificazione
promosse dalle reti. Reti supportate sempre di più da siti istituzionali
on-line, che consentono ai player di valorizzare ulteriormente la propria
offerta con strategie che puntano a coinvolgere lo spettatore, mediante
servizi e contenuti esclusivi, e a moltiplicare le occasioni di
sfruttamento commerciale dei propri prodotti. In definitiva, strategie di
marketing 2.0, che hanno nella evoluzione del web e della logica
multipiattaforma due formidabili alleati e che trovano radicamento più
generale nelle politiche legate allo sfruttamento commerciale dei diritti
d’autore (licensing), mercato capace di generare nel 2011, nella sola
Italia, oltre 300 milioni di euro in royalties. Interessante il richiamo al
«character licensing», ruotante attorno a un’idea di personaggio – si pensi
agli intramontabili protagonisti Disney – capace di generare un elevato
numero di licenze nei settori più vari, dall’abbigliamento al materiale
scolastico, e in questo senso vero e proprio brand da spendere nell’ambito
di progetti integrati di merchandising.

Luci e ombre –
Stando ai dati fin qui snocciolati, si potrebbe pensare che la Children’s
Television targata Italia, all’indomani dello switch-off, non conosca alcun
ostacolo. Ma a ben vedere non mancano le criticità. A cominciare dagli
investimenti e dai contenuti originali e di qualità, non commisurati alla
straordinaria crescita registrata sul piano quantitativo. All’origine di
ciò, un mercato frammentato e piccolo, incapace di generare ricavi
sufficienti a sostenere i costi di produzione. Ma anche un sistema che non
stimola la varietà dell’offerta con strumenti di sostegno alla produzione e
alla distribuzione di contenuti per i più piccoli e che dispone indicazioni
di programmazione per la sola concessionaria pubblica, lasciando di fatto
che questo segmento tv assuma un carattere prevalentemente commerciale. Di
qui un tendenziale appiattimento dell’offerta, che si traduce in concreto
in una marcata ripetitività dei palinsesti; in un riciclo da un canale
all’altro di contenuti spesso assai datati (usati anche per richiamare un
pubblico più adulto: su tutti, quello dei genitori); un ricorso eccessivo a
prodotti stranieri, in particolare statunitensi, così rilevante che solo il
5% dei palinsesti è prodotto internamente contro medie che, ad esempio, nel
Regno Unito e in Francia oscillano tra il 19% e il 17%. Tra le criticità
potenziali emerse dalla ricerca anche una massiccia presenza sistemica
della tv a pagamento, che rischia di creare una sorta di divide
economico-culturale tra quanti possono permettersi di inseguire la qualità
dei contenuti premium dei grandi broadcaster transnazionali, presenti quasi
del tutto sulla piattaforma sat pay, e chi deve accontentarsi di ciò che
passa il digitale terrestre.

In una fase di grave difficoltà del sistema tv italiano, che paga
pesantemente la crisi economica generale e il sensibile calo della
redditività, a fronte di una diminuzione dei ricavi pubblicitari 2012 del
17,9% (ultimi dati Agcom) e di un mercato sempre di più affollato,
alimentato dal continuo ingresso di nuovi soggetti pronti a contendersi
l’utenza su tutte le piattaforme disponibili, sono più che mai necessari
meccanismi di sostegno e di regolamentazione, assieme a coraggiose scelte
imprenditoriali di lungo periodo sul piano della qualità dei contenuti e
più in generale degli investimenti produttivi, soprattutto nell’ambito
dell’offerta per i più piccoli. Al di là dei dati esposti e analizzati,
sembra essere questo, in estrema sintesi, il messaggio finale della ricerca
e la sfida per i prossimi anni. Una tivù che sappia rispondere alle istanze
provenienti dalle agenzie e istituzioni educative e che, al tempo stesso,
sappia proporsi con prodotti unici e su misura dell’utenza, nel rispetto
della pluralità di voci e modelli culturali. E che sappia stare al passo
coi tempi, mediante una proposta multidevice in grado di sfruttare al
meglio le possibilità offerte da Internet e dalle tecnologie di rete.

Previous

Rivoluzione sessuale globale e ideologia di genere. Un libro illuminante

Next

Il Fiuggi Family Festival è ancora una opportunità?

Check Also