giovedì, Giugno 1 2023

Si scrive talent show ma si legge “momento di fama”. Gli ingredienti sono
sempre gli stessi: un format televisivo che funziona, qualche litigio in
studio, un bel viso che buchi lo schermo e un piccolo presunto talento e
per qualche mese il successo è assicurato.

Poi passa il tempo, il cassetto dei sogni si richiude e dell’evanescente
gloria non resta più traccia.

Ormai sono anni che, i palinsesti televisivi delle emittenti di tutto il
mondo propinano il talent show del momento. DaX-Factor, passando perTú si che vales, a Master chef non è cambiato molto. Si è passati
dalla spettacolarizzazione della vita ad una vita da spettacolarizzare per
essere qualcuno.

Grazie alla semplicità con cui ci si può mettere in vista è inevitabile che
molti si possano improvvisare talenti: scaricare, postare e condividere è
talmente agevole che ormai si è abituati a sorbirsi qualsiasi cosa si veda
scorrendo sullo schermo del proprio computer o cellulare. Si arriva a
dedicare tempo e attenzione a tutto ciò che ci si trova sotto il naso da
quanto è facile ed immediato farlo.

Nulla di male e nulla di nuovo, chiunque è alla ricerca del successo e se
si è talenti mediocri ma con un bel viso, si può tentare la via più
semplice per arrivare al successo. Un po’ di self branding sulle
piattaforme social e il gioco è fatto: si diventa star!

Non è esattamente così, lo sappiamo tutti, e lo sanno anche coloro che
prendono parte a questi programmi. Ma l’illusione di ottenere successo in
poco tempo affascina molto, soprattutto i più giovani che hanno
introiettato il “modello influencer”. La rete ha infatti creato l’illusione
più grande: tutti hanno la possibilità di arrivare all’apice del successo.
Peccato che nessuno dichiari con altrettanta chiarezza e lucidità che
all’apice spesso ci si sta per troppo poco tempo per essere davvero
ricordati.

Il consumismo, anche dei prodotti televisivi, consuma facilmente il
successo e relega nell’oblio chi ha talento ma non perseveranza.


Talent show: una moda che passa presto di moda

Nei primi anni 90 a riempire il cuore dei fan erano le boyband. I biglietti
venduti per i loro tour erano quasi sempre introvabili e costosi. I testi
accattivanti. Le canzoni venivano passate in ogni singola radio e canale
televisivo musicale, prima tra tutte MTV. In fondo erano tutti ragazzi dal
bel viso, voce melodiosa e un coreografo ne curava i movimenti per i
videoclip.

Al giorno d’oggi la musica non è quasi più un elemento valoriale che nutre
e veicola la vita della gente, quanto piuttosto un artificio mediatico ed
economico: le canzoni hanno successo quando ricevono milioni di
visualizzazioni, quando fanno saltare e sballare centinaia di persone in
discoteca. A questo punto appare chiaro come produttori e case
discografiche, nonché emittenti televisive, abbiano tutti gli interessi a
creare dei talenti ad hoc che possano avere risonanza e garantire
cospicui guadagni, indipendentemente da quello che propongono al pubblico,
a costruire delle star il cui successo è strettamente legato ad un
investimento economico, spesso con una precisa durata temporale.

Meglio allora che si tratti di boyband, vincitori di talent, fenomeni del
web che barattano la rinuncia ad esprimere la loro personalità e il senso
del loro essere musicisti con la possibilità di ottenere fama e visibilità;
meglio che si tratti di giovani che cedono i diritti o le edizioni musicali
firmando contratti capestri e cantando pezzi scritti da altri; meglio che
si tratti di artisti – magari inizialmente sinceri – che piegano la forza
vitale dei loro sogni alle leggi di mercato. È proprio questo il problema:
se la musica coincide con un mercato finisce per ridursi a una forma priva
di contenuto, un accumularsi di mode che si susseguono in un triste
meccanismo in cui ognuna divora la precedente, senza lasciar nulla che non
sia una melodia simpatica o un incasso da record. Le emozioni genuine di
cui la musica è una portatrice privilegiata vengono facilmente soffocate
trasformando la pura freschezza di un talento in un arido strumento che
ammicca a facili guadagni.


Talent show: chi pensava di avercela fatta

Tanti i nomi che si sono alternati sull’evanescente palcoscenico degli show
televisivi. Tanti i personaggi arrivati all’apice del successo e poi
ripiombati nell’oscurità dell’anonimato, magari ottenendo comunque il
successo nella vita ma senza essere più sulla cresta dell’onda mediatica.

E’ il caso di Leon Jackson, vincitore di X-Factor UK 2006
che è stato dimenticato quasi prima ancora di cominciare. La televisione e
i media possono essere sia gentili che crudeli in egual misura. A volte
vincere non è abbastanza se manca l’ingrediente magico che semina una vera
stella. Alcuni rimangono personaggi di successo mentre altri affondano
rapidamente nel dimenticatoio e purtroppo per chi pensa di diventare
qualcuno, non tutti i vincitori rimangono tali a lungo.

In Italia, uno degli esempi più eclatanti arriva dalla prima edizione del
Grande Fratello. I suoi partecipanti hanno avuto storie e vite ben diverse
da quelle che si aspettavano: Cristina Plevani, la vincitrice, ora fa la
cassiera, il secondo in ordine di gradimento, Salvo Veneziano, suo collega,
dopo i vari salotti televisivi si è ritrovato a realizzare il suo sogno ed
oggi ha aperto 17 pizzerie. Certo c’è chi ce la stava facendo come il
compianto Pietro Taricone che, dopo aver avviato la carriera di attore, è
stato vittima di un incidente mortale.

E al di là dell’Oceano le cose non vanno meglio. Certo, lo star system
americano pullula di giovani virgulti che si sono affermati anche grazie
alla partecipazione ad un programma televisivo, ma non mancano neanche i
dimenticati.

E nella patria del “tutto è possibile”, per ironia della sorte, sono stati
tanti i personaggi “scartati” dai talent show per poi avere successo per le
doti canore.

Ne è un esempio eclatante Christina Aguilera che a nove anni fu scartata
per poi diventare la principessa del pop e vantando diversi Award. Britney
Spears non ha vinto “Star Search”, ma è diventata una delle persone più
famose del pianeta. Che siano state solo fortunate? O il loro talento non
era abbastanza per lo show? Alle volte il destino è beffardo e chissà se
qualche produttore discografico non si stia ancora mangiando le mani per
questo. I reality, i talent, possono essere trampolini di lancio ma la vita
e ciò che riserva non sono così prevedibili, ecco perchè bisognerebbe
approcciare a questi format televisivi dandogli il giusto peso: quello di
un “gioco” in cui divertirsi e farsi farsi conoscere ma cercando di
rimanere con i piedi a terra nel bene e nel male.


La vera arte non passa mai di moda

Potrà sembrare retorico, ma questa presa di consapevolezza è necessaria per
tentare, quantomeno, la costruzione d’un paradigma alternativo. Non si
tratta di cancellare un fenomeno affermato come quello dei talent show, ma
di

accorgersi di come essi favoriscano la diffusione di un messaggio
erroneo

: far credere che per esser dei veri artisti validi basti un look
accattivante e una voce pulita.. C’è bisogno di un’arte forte, autentica,
che contribuisca a formare i nostri caratteri, che esprima valori e che
guidi con sincerità le nostre passioni

C’è bisogno di dar voce ai talenti nascosti che pulsano nel sottosuolo. C’è
bisogno di arte vera e immortale.

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