lunedì, Dicembre 2 2024

Una sfida per il cinema di oggi: come rendere attraente la castità? di Cecilia Galatolo Non è un mistero il fatto che il cinema, negli ultimi decenni, stia dando molta rilevanza alla sfera della sessualità, la quale viene spesso raccontata e mostrata senza veli, senza censure. Parafrasando Gustave Thibon, filosofo e saggista francese, oggi sembra che la sessualità abbia perso il suo centro, si presenta come una circonferenza “ec-centrica”, i suoi raggi arrivano dappertutto, ma il centro non è da nessuna parte. Ha perso il suo significato, e con esso il suo valore. Può usarsi come una merce di scambio, come gesto affettivo che non impegna, come leva persuasiva per vendere il lusso e quanto ad esso va associato… La si trova ovunque, e il cinema non fa altro che ingrandire questo problema di ec-centricità.

Il senso del pudore, che in tempi ormai lontani obbligava i registi ad evitare “scene spinte”, nel cinema attuale sembrano superati: vedere protagonisti di film svestiti e in atteggiamenti intimi oggi è diventato “normale”, se con normalità intendiamo che è “consuetudine”. Va costatato, poi, che si mostra una sessualità privata della sua sacralità; non si tiene conto del fatto che può essere vissuta pienamente a patto che si accetti di diventare con la persona amata una cosa sola per il resto della vita. La sessualità è presentata come un modo per affermare se stessi, più che come un dono per la coppia. Vi sono film il cui tema principale è la perdita della verginità. Tra i portabandiera di questo genere, ci sono film come American Pie, del 1999, diretto da Paul Weitz e Cris Weitz.

Tema centrale della storia? Quattro giovani vogliono perdere la verginità e “fare esperienze” con delle ragazze; vogliono soddisfare i loro istinti, non crescere in una coppia. La sessualità diventa allora un capriccio e non una via per donarsi. La perdita della verginità occupa un posto centrale anche in 40 anni vergine (The 40 Year-Old Virgin ), del 2005, diretto da Judd Apatow. Il protagonista, interpretato da Steve Carell, è immaturo e infantile e viene dipinto come un imbranato. Secondo i suoi amici il più grande problema di quest’uomo è che è ancora vergine e cercano in tutti i modi di farlo “emancipare”.

“Attività sessuale” e “maturità affettiva” si identificano: essere ancora vergini in “età avanzata” è visto come un problema e conta più “aver fatto esperienze” che aver trovato una donna da amare ed accudire. Sono solo due esempi di come la sessualità possa essere svilita nel cinema e di come si possa trasmettere, specialmente ai più giovani, l’idea che perdere la verginità sia più importante che trovare l’amore.


La sessualità nella coppia è vissuta “presto” e fuori dal matrimonio

Un altro aspetto che emerge nel cinema odierno è che l’intimità viene vissuta tra persone non legate dal vincolo matrimoniale. Lungi dall’essere custodita e inserita in un progetto di vita comune consolidato, la sessualità viene “consumata” dai protagonisti, spesso, dopo poche settimane o persino dopo pochi giorni di frequentazione, senza che sia stato preso un vero impegno. La decisione definitiva di passare il resto della vita insieme, nella maggior parte dei casi viene presa dopo che l’unione fisica è già avvenuta e soprattutto a seguito di una serie di vicissitudini che hanno diviso per un periodo gli innamorati. Esempi di film in cui è presente questa dinamica non mancano di certo, ma possiamo citare solo alcune pellicole famose, completamente differenti tra loro.

Autumn in New York, film drammatico del 2000, diretto da Joan Chen è il classico esempio di storia nata per gioco che poi si trasforma nell’“amore della vita”. Will, interpretato da Richard Gere, è un imprenditore incorreggibile sul piano sentimentale: si gode la passione finché dura per poi lasciare la fidanzata di turno proprio quando la relazione sta cominciando a diventare importante. Charlotte, interpretata da Winona Ryder è una giovane spontanea e solare, ma gravemente malata, che prima di morire riuscirà a far maturare
Will e gli insegnerà cosa significa amare seriamente qualcuno.

Che pasticcio, Bridjet Jones
(Bridget Jones: The Edge of Reason) commedia del 2004, diretta da Beeban Kidron, mostra due fidanzati che si uniscono pur conoscendosi da molto poco. Bridjet e Mark, interpretati da Renée Zellweger e Colin Firth, restano vittime di incomprensioni e fraintendimenti che li separeranno. Alla fine, tuttavia, una volta provati reciprocamente i sentimenti e le intenzioni l’uno dell’altra, i due decidono di sposarsi.

La risposta è nelle stelle
(The Longest Ride), film del 2015, diretto da George Tillman, presenta due giovani, interpretati da Scott Eastwood e Britt Robertson, estremamente diversi che si innamorano sinceramente l’uno dell’altra ma che prima di potersi accogliere in modo totale devono accettare di adattare ciascuno la propria vita alle esigenze dell’altro. Sebbene queste storie abbiano un lieto fine (in tutti e tre i casi gli innamorati si uniscono maggiormente dopo aver superato delle difficoltà), la sessualità precede cronologicamente la fase della scelta matura e consapevole. Il messaggio che passa è che la sessualità può essere inserita all’interno di una relazione in qualunque momento, anche prima di aver preso la decisione di unirsi l’uno all’altra in modo definitivo.

La castità come premessa per il dono autentico di sé

Sebbene ci siano eccezioni – si veda I passi dell’amore (A Walk to Remember), del 2002, diretto da Adam Shankman di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo, le tendenze del cinema non sembrano andare a favore della castità, intesa come virtù che consente all’uomo e alla donna di donarsi anima e corpo solo alla persona già scelta per tutta la vita. La sola parola “castità” oggi è un tabù, la si associa a “castigo”, “privazione”: si crede sia una sofferenza inutile, perché si pensa che la sessualità vada vissuta senza vincoli e restrizioni. Nonostante ciò, molti giovani ne stanno riscoprendo il valore: la considerano “il sale che impedisce la corruzione dell’amore” e riconoscono che l’amore come tendenza o passione può corrompersi nella possessione egoistica (che genera gelosia) o nella fredda indifferenza.

Il cinema può educare alla castità

Il cinema ha il potere di educare, di trasmettere valori e renderli attraenti attraverso le storie che racconta. Perché non mettere queste potenzialità al servizio della castità? Perché non raccontare delle storie in cui si dia spazio alla tenerezza e in cui i protagonisti decidano di vivere la sessualità solo dopo essersi donati l’uno all’altra per la vita? Posto che è indice di scarsa professionalità lo stratagemma di usare scene di sesso per rendere più intrigante un film e che sono la trama, la scelta dei luoghi, la bravura degli attori a renderlo veramente interessante, uno dei fattori che fanno la differenza nel cinema è l’originalità della storia. E una storia d’amore casta, oggi, sarebbe senza dubbio molto originale. Cari registi, perché non provarci?

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