giovedì, Giugno 1 2023


Il cinema e la pubblicità influenzano da sempre le nostre
vite, i nostri consumi, orientano i nostri desideri e plasmano i nostri
stili di vita. A volte in meglio, a volte purtroppo in peggio. Come e
in che misura la pubblicit à influisce sui nostri reali comportamenti e abitudini?

La pubblicità influisce sulla nostra condotta dal momento in cui agisce
come un potente fattore di legittimazione sociale. I comportamenti che
vediamo negli spot ci vengono mostrati con un’aura di legittimità e
normalità sociale, e questo è ciò che fa sì che diventino dei riferimenti
per i telespettatori. Sappiamo che la pubblicità ci mostra il mondo
dell’eccellenza (degli ambienti, dei personaggi, della musica) e noi
abbiamo accettato, senza alcuna ragione a sostegno, che le condotte che
vengono fatte vedere in TV sono anche quelle più socialmente riconosciute.
Con le pubblicità ci siamo abituati ad assistere a comportamenti impropri,
ad entrarci in empatia, laddove, invece, dentro di noi li rifiuteremmo, ma
che nel «patto di lettura» di uno spot pubblicitario accettiamo senza
riserve per poterci far divertire dalla sua trama.

A volte, quando avvertiamo una dissonanza tra i nostri valori e quelli
veicolati dai comportamenti rappresentati nella pubblicità, arriviamo
addirittura a sospendere il giudizio morale o «attenuiamo» quella
dissonanza per poterci identificare con quel determinato personaggio. In
tal modo, nella cornice della trama pubblicitaria arriviamo a promuovere
interiormente pratiche come l’infedeltà, la provocazione sensuale,
l’esaltazione dell’egoismo o la ricerca sfrenata del godimento. Queste
attitudini, che all’interno di un sondaggio o più semplicemente nell’intimo
di una riflessione personale sarebbero valutate negativamente da parte
della maggioranza delle persone, quando queste ultime diventano
telespettatori vengono esaltate e in un certo senso emotivamente «godute».
E ciò avviene perché, nel corso della sua storia, la pubblicità ha
legittimato queste pratiche disseminandole come trappole.


e sul nostro sistema di valori e credenze?

La pubblicità agisce anche come agente di socializzazione. Ci
introduce in un mondo di valori condivisi, ci «dice» quali valori dobbiamo
far nostri per acquisire il diritto di cittadinanza all’interno della
cultura contemporanea. Nel quadro di una società culturalmente disorientata
le basilari istanze educative (famiglia, scuola e religione) sono state
messe in discussione e, di conseguenza, un certo relativismo gode viceversa
di ottima salute, potendo espandersi senza limiti. Nonostante un tale
scetticismo costitutivo, i diversi tipi di pubblico sembrano aver assegnato
alla pubblicità una grandissima autorità sociale rispetto ai valori, e in
tal modo ciò che le loro storie ci dicono rispetto a questioni di grande
importanza (le relazioni familiari, di amicizia, di coppia, etc.) vengono
accettate come fonti insindacabili, come riferimenti che
orientano i nostri giudizi di valore. Tale autorità viene prodotta su un
doppio piano: epistemologico (che riguarda la conoscenza della
realtà) e deontologico (che ha a che vedere con come la realtà
dovrebbe essere).

Secondo molti telespettatori, e in particolare per il pubblico adolescente,
la conoscenza di come sono o come dovrebbe essere l’amore, la felicità, il
successo personale e così via, non è relativo tanto a ciò che viene
insegnato e appreso in famiglia o a scuola, quanto a quelle norme di
socializzazione che la pubblicità ha stabilito. E questo poiché gli spot
pubblicitari sono diventati una sorta di specchio dentro al quale
rifletterci per trovare la nostra identità e i nostri valori.


Il modello di famiglia nella pubblicità negli ultimi 5 anni ha
subito una notevole evoluzione. Si

è passati dalla classica e immutabile rappresentazione della
famiglia felice e rigorosamente con due figli «stile Barilla», ad
una rappresentazione di molteplici modelli di nuclei famigliari: il
single, il gruppo di amici conviventi come nel telefilm Friends,
fino alla coppia gay. E’ la pubblicità che segue la società o
viceversa?

La relazione pubblicità-società è sempre a doppio senso. La pubblicità
mostra i cambiamenti che si stanno producendo sul piano sociale (e in
questo senso possiamo dire che la pubblicità segue la società), ma al tempo
stesso promuove nuovi stili e valori sociali. Richard Pollay diceva che «la
pubblicità è sì uno specchio, ma distorto». Riflette la società, ma pur
sempre in modo decisamente capzioso: non riflette ciò che interessa al
pubblico, quanto ciò che beneficia le aziende. Per questo alla questione
che Lei pone – chi insegue chi – si dovrebbe rispondere che la pubblicità
insegue, soprattutto, il marchio che viene annunciato, i suoi interessi
particolari e le sue strategie di vendita, e quindi che i valori
rappresentati non rispondono tanto a cambiamenti sociali quanto a
cambiamenti strategici dell’azienda che sono strumentali all’accrescimento
delle vendite.

Ciò si percepisce in modo particolare nell’ambito della famiglia. Adesso,
ad esempio, è molto difficile vedere una pubblicità i cui protagonisti
siano i componenti di una famiglia numerosa: le famiglie con 3 o più figli
sono state sradicate dai palinsesti pubblicitari in tutta Europa. Ma non
perché gli europei le rifiutino o le disprezzino, quanto perché le
principali marche temono di essere etichettate come tradizionali o desuete.
Infatti, non ci sono state querele o lamentale da parte del pubblico o
delle associazioni dei consumatori rispetto alla presenza nelle pubblicità
delle famiglie numerose: esse sono semplicemente scomparse dalla pubblicità
per iniziativa delle aziende. Di contro, sì che ci sono state querimonie –
totalmente disattese dalle marche – rispetto agli spot che presentano
l’omosessualità come una «relazione piena e glamour». E non tanto come uno
tra i tanti tipi di relazione possibile – per legittimarla – ma come la più
onesta e sincera. È chiaro dunque che siamo di fronte a un tipo di
decisione strategica, a una volontà di compiacere certi collettivi che
possono arrivare ad avere molta influenza sociale, quando non a godere
della simpatia delle politiche sociali di molti governi europei.


Fino a poco tempo fa i social media e i nuovi mezzi di comunicazione in
genere, erano appannaggio a grande maggioranza degli adolescenti e
comunque degli under 40. Ora anche le persone mature – alcune ricerche
parlano addirittura degli over 70 – navigano con disinvoltura sui
social network, chattano, postano selfie e usano il linguaggio
dei «giovani». È una moda passeggera o il sintomo di una societ à sempre più sola?

Purtroppo non credo si tratti di una moda. Andiamo a vele spiegate verso un
tipo di società marcatamente individualista. Le persone vivono in modo
sempre più comodo, ma anche più solitario; dispongono di qualsivoglia
dispositivo, anche se non hanno chi si prenda cura di loro. In questo
quadro i mezzi online (Internet, reti sociali, etc.) costituiscono uno
strabiliante strumento di «intrattenimento sociale» che maschera questo
isolamento, oltre che un enorme surrogato di quel tipo di comunicazione
presenziale che oggi tanto manca all’interno delle famiglia e tra le
persone. Ciò verso cui stiamo andando – si percepisce già tra molti giovani
– è una società sempre più anonima, che diluisce la sua personalità in
comunicazioni vacue e frivole, e che genera una preoccupante incapacità di
entrare in relazione.


Tre spot positivi che parlano di famiglia negli ultimi anni?

Potremmo segnalare molte campagne positive che sono state fatte intorno
alla famiglia. Sul blog che curo su «Pubblicità e cinema con valori» ogni
settimana pubblico uno spot che dia un’immagine positiva dell’istituzione
familiare e dei suoi valori. Per citarne solo tre tra i più recenti:

– IKEA (Spagna): Nada como el hogar para amueblarnos la cabeza
(Niente di meglio della casa per ammobiliarci la testa) del 2014.

– True Move H (Tailandia): Compassion is true communication (La
compassione è la vera comunicazione) del 2015.

– Vistaprint (Paesi Bassi): Father & son (Padre e figlio) del
2015.


Per concludere. Tre film dell’ultimo anno che educano ai valori, da
consigliare ai nostri lettori.

Pensando ad un pubblico giovane e adulto, consiglierei i seguenti:

Amore, cucina e curry (The Hundred-Foot Journey) di
Lasse Hallström del 2014: sulla famiglia in un incrocio tra culture, quella
indù e quella francese. Una commedia drammatica e gastronomica.

Tutto può cambiare (Being Again), di John Carney del
2013: sull’amore, la fedeltà e il saper ricominciare di nuovo un amore nel
fidanzamento e nel matrimonio. Un musical del regista di Once.

– Inside Out
, di Pete Docter del 2015: sul ruolo delle emozioni nelle relazioni
familiari e nelle decisioni personali. Cartone animato di Walt
Disney-Pixar.

Il prof. Méndiz Noguero è Preside della Facoltà di comunicazione della


Universidad Internacional de Catalunya

(Barcellona), autore di diversi libri sulla pubblicità, dirige il blog



Publicidad y Cine con Valores.

Previous

Scegliere un film, un libro che può aiutare a decidere

Next

La rappresentazione mediatica degli adolescenti devianti: analisi e strumenti

Check Also