lunedì, Dicembre 2 2024

Verso Dio nel cinema (Casa Editrice San Paolo, 2013; prezzo di copertina 15€) è il frutto di una proficua collaborazione tra il professor Enrique Fuster, docente di Teoria e Storia del Cinema, nonché di Sceneggiatura Audiovisiva presso la facoltà di Comunicazione della Pontificia Università della Santa Croce; José Maria Galván, docente di Teologia Morale e di Antropologia presso la facoltà di Teologia della medesima Università e la giornalista Rai Daniela Delfini.

L’opera, che ha visto intersecarsi armoniosamente e senza sovrapposizione le diverse sensibilità dei suoi autori, si presenta come una raccolta di recensioni di film, raggruppate secondo specifici temi, quali il problema del dolore, il senso di colpa, la libertà di scegliere, l’ansia di eternità o la possibilità per l’uomo della figliolanza divina.

Il fine dell’opera è quello di portare il lettore, attraverso l’analisi dei film scelti, come in un viaggio (per rifarci al sottotitolo impresso in copertina), verso la visione dell’uomo e della natura umana che è emersa sul grande schermo a partire dallo scorso secolo, quando cioè il cinema ha iniziato ad imporsi come la forma d’arte più influente nella società, scavalcando la pittura o la scrittura.

Fermandoci al titolo, potremmo pensare che il libro ci racconti qualcosa sulla presenza esplicita di Dio nel mondo cinema. Potremmo pensare che ci proponga dei film i cui protagonisti siano Dio stesso o coloro che hanno fatto di Lui la propria ragione di vita.

Per quanto possa stupire, invece, perlopiù, i film presi in esame non parlano direttamente di Dio o di Santi, ma dell’uomo in quanto tale e cioè in quanto essere vivente capace di porsi domande di senso e di cercare un fondamento alla propria esistenza; parlano di una creatura libera di autodeterminarsi ma al tempo stesso limitata e consapevole della propria finitezza.

Nel libro, in definitiva, si parla dell’uomo in quanto essere vivente aperto alla trascendenza, incapace di raggiungere la felicità soddisfacendo esclusivamente le proprie necessità materiali, poiché avverte di non essere un mero agglomerato di materia, percepisce la morte come un fatto che contraddice l’eternità cui si sente chiamato e finisce per piegarsi su stesso quando rinuncia al desiderio e alla speranza di un amore che oltrepassi i confini della biologia.

I film trattati appartengono ad epoche e generi diversi, ma hanno in comune la capacità di far emergere che la presenza o l’assenza di Dio hanno un peso uguale e contrario nella bilancia della vita dell’uomo.

È proprio questa la grande forza di Verso Dio nel cinema: e cioè riuscire a parlare di Dio o della sua assenza attraverso i bisogni, le ansie, le aspettative di quella creatura speciale che da sempre ha cercato la divinità e che da sempre ha amato raffigurarsi e rispecchiarsi nelle opere d’arte da lei stessa create.

Il protagonista del libro, dunque, in senso stretto è l’Uomo, l’Uomo come egli si raffigura nel cinema. Dio sta piuttosto dietro le quinte. Non per questo è irrilevante o non ha il proprio spazio all’interno dell’opera. La sua presenza si avverte: Egli c’è, e non potrebbe non esserci; solo che, come capita a chiunque lavori dietro le quinte, il suo operato si vede come per riflesso, attraverso ciò che avviene sul palco.

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