giovedì, Marzo 28 2024

Il verdetto dell’Alta Corte Britannica del dicembre 2020 sul caso Keira
Bell ha raggiunto tutte le prime pagine della stampa mondiale: “sostenere
che i bambini non hanno la capacità di dare il loro consenso a trattamenti
che bloccano la pubertà è una vittoria del buon senso” afferma il Times di Londra. La rivista The Economist, più liberale,
constata semplicemente che “il verdetto avrà ripercussioni globali”.

Speriamo. Quello che pochi sanno è che una pubblicazione ben documentata
della comunità accademica britannica denunciava già un anno fa la
“produzione pseudoscientifica” del transgenderismo: Inventing transgender children and young people, pubblicato nel
novembre 2019 dalla Cambridge Scholars Publishing e pubblicato da Heather
Brunskell-Evans and Michel Moore.

La storia di Keira Bell, la ragazza britannica di 23 anni che a 16 iniziò
la trasformazione in maschio e che ora è pentita della scelta, sta facendo
il giro del mondo. Keira accusa la clinica di Londra presso la quale aveva
intrapreso il percorso di transizione, di non aver indagato
sufficientemente sulle motivazioni della sua richiesta di cambiare sesso e
di avere raccolto un consenso che un giovane di quella età non è in grado
di esprimere in piena consapevolezza; inoltre denuncia un’eccessiva
rapidità con cui bambini e adolescenti vengono sottoposti a terapie
ormonali per cambiare sesso.

La vicenda di Keira ritorna ad accendere i riflettori su una questione
molto complessa, ma poco dibattuta: il trattamento della disforia di genere in adolescenti e bambini. Tale questione è
affrontata nel libro Inventing transgender children and young people, edito a
novembre 2019 dal Cambridge Scholars Publishing e curato da Heather
Brunskell-Evans e Michele Moore, che dà voce alle preoccupazioni per gli approcci terapeutici sui bambini
transgender; terapie che dall’Inghilterra e dai Paesi Bassi si stanno
diffondendo anche ad altri Stati.

Le curatrici, Moore, professore onorario presso la School of Health and
Social Care dell’Università dell’Essex, nel Regno Unito, ed editore della
rivista internazionale Disability and Society, ed Evans, filosofo
e teorico sociale, con una particolare esperienza in ambito medico, in
particolare riguardo il corpo sessuato e il genere, da anni studiano
l’argomento e sono impegnate per diffondere una conoscenza critica del
fenomeno del transgenderismo e disforia di genere.


Un libro che aiuta a riflettere sul tema del cambiamento di sesso

Il libro riporta saggi e riflessioni di accademici, psichiatri e
genitori, oltre che di giovani adulti pentiti di aver intrapreso il
processo di transizione dal sesso biologico a quello percepito, e intende
dimostrare che il transgenderismo non è una realtà biologica, ma un
concetto ‘inventato’, privo di basi di neuroscienze, psicologia o
psichiatria. Gli autori sostengono che esistono poche prove a sostegno
delle affermazioni secondo cui il cervello è sessuato e nessuna prova
attesta che alcuni feti si sviluppano con cervelli e corpi non
corrispondenti. In particolare, gli autori osservano: “l’idea che il
transgenderismo sia un fenomeno pre-sociale interno che è esistito nel
corso della storia non è un fatto che abbia evidenze scientifiche, ma solo
una supposizione, un’ipotesi”.

Propaganda ideologica o libertà scientifica?

La propaganda ideologica farebbe da scudo alle pratiche mediche utilizzate
per assecondare la transizione fino al cambio di sesso; pratiche che, come
il testo di Moore ed Evans evidenzia, vengono effettuate anche in
adolescenti e bambini piccoli e consistono nella somministrazione di
farmaci per bloccare la pubertà, in attesa che il soggetto decida a quale
genere appartenere. Questo è quello che accade in Inghilterra, a Londra,
con il contributo della sanità pubblica, presso il Tavistock Centre, la
clinica preposta al trattamento della disforia di genere anche in età
pediatrica e che negli ultimi anni ha registrato un notevole incremento del
numero di bambini trattati, presentando addirittura lunghe liste di attesa.

Il libro affronta la controversa pratica medica di somministrare ormoni a
bambini e adolescenti sani, di età media intorno ai 12 anni, mettendoli a
rischio di sterilità, per assecondare la loro percezione di un’identità di
genere diversa dal sesso biologico. Il trattamento arriva anche
all’intervento chirurgico per eliminare i caratteri sessuali secondari, al
fine di ‘accompagnare’ e preparare il passaggio, anche anatomico, all’altro
sesso.

Il testo focalizza l’attenzione sul modo in cui l’affermazione positiva danneggia i bambini. Per “affermazione
positiva” si intende l’accettazione indiscussa del desiderio, manifestato
dai bambini, di appartenere al genere diverso da quello biologico; al
contempo ai genitori viene consigliato di assecondare quest’idea del
bambino, considerata più reale della sua conformazione fisica.
‘L’affermazione positiva’ viene spesso accompagnata da una ‘transizione
sociale’: i bambini possono assumere un nuovo nome, adottare pronomi e
abiti associati al sesso opposto e ottenere l’accesso agli spazi in
precedenza vietati. Inoltre, durante questo processo, i bambini transgender
diventano celebri: testimonial di coraggio ed emancipazione.

Tuttavia gli autori del libro sottolineano che se assecondare
l’acquisizione di una nuova identità può ‘congelare lo sviluppo’ impedendo
la maturazione della sessualità, può altresì aumentare la confusione nel
bambino a causa del disallineamento tra lo sviluppo del corpo e quello
della mente.

Cosa si può fare allora?

Da anni molti si interrogano su cosa sia possibile fare per contrastare
questo fenomeno. Il testo cerca di dare una risposta evidenziando la
necessità innanzitutto di portare fuori dalla ‘spirale del silenzio’ le
voci critiche nei confronti di quella che sembra la mentalità dominante,
tanto in ambito socio-culturale quanto in quello medico-scientifico, che va
verso un’accettazione sempre maggiore del processo di transizione fin
dall’età pediatrica. Infatti, il timore di essere tacciati di oscurantismo,
bigottismo, transfobia, porta molti a tenere per sé convinzioni,
perplessità e timori riguardo tale argomento.

Inoltre, occorrerebbe ricordare, come riporta un articolo pubblicato sulla
rivista medico scientifica Lancet nel 2018, che il sesso biologico
è determinato immutabilmente da due specifici cromosomi nel momento del
concepimento, mentre il genere è un’espressione sociale. Certamente la
profonda sofferenza che situazioni come la disforia di genere e il disagio
per la non accettazione del proprio sesso biologico creano nella persona
sono un problema reale. Così come reale è la manipolazione della pubertà
con l’uso di farmaci nati per altri scopi. Tuttavia occorrerebbe valutare
rigorosamente le conseguenze di interventi medici invasivi irreversibili e
non privi di rischi.

Senza negare la complessità della questione, sarebbe auspicabile una
società che ascolti, custodisca e protegga i giovani accompagnandoli in un
processo di crescita nel sano sviluppo della percezione del proprio corpo e
della propria immagine, aiutandoli ad apprezzare se stessi così come sono.
Un ruolo importante in questo percorso devono averlo le figure genitoriali
e i modelli di riferimento all’interno di una società adulta che, invece di
promuovere l’autodeterminazione, provveda a preservare i membri più fragili
dall’autolesionismo.

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