venerdì, Aprile 19 2024

L’eutanasia sta diventando una scelta legale sempre più diffusa nel mondo occidentale. Ormai l’ex governo olandese, guidato dal liberale Mark Rutte fino a prima delle dimissioni, ha allargato l’accesso all’eutanasia a pazienti terminali da uno a 12 anni, con l’accordo dei genitori. In Nuova Zelanda, invece, il 65% degli elettori si è espresso a favore dell’eutanasia lo scorso ottobre. In Svizzera la pratica è presente da diverso tempo e può costare fino a 10mila euro.

La legislazione dei diversi Paesi del mondo ci mostra uno spaccato culturale differente e la riflessione si complica ulteriormente quando parliamo di minori. Il ministro olandese della Salute, Hugo de Jonge, membro del partito cosiddetto d’ispirazione cristiana, “Appello Cristiano-Democratico”, ha annunciato lo scorso autunno che l’accordo per estendere anche ai bambini fino a 12 anni la legge sull’eutanasia era stato trovato. Alla base della scelta, uno studio sulla sofferenza dei bambini secondo il quale «c’è bisogno di un’interruzione di vita intenzionale» decisa d’intesa «tra medici e genitori» per aiutare «un piccolo gruppo di bambini malati terminali che soffrono senza speranza e in modo insopportabile». La stima del ministro è di un numero di casi tra i 5 e i 10 all’anno: il noto metodo dei “casi eccezionali e circoscritti”.

In Olanda la legge sull’eutanasia è in vigore dal 2002 mentre in Nuova Zelanda lo è dal referendum del 17 ottobre 2020 col quale i cittadini hanno anche riconfermato la premier laburista Jacinda Ardern. La legislazione era stata già approvata in Parlamento l’anno prima, ma il governo ha atteso che il popolo si esprimesse per rendere la legge in vigore. Secondo la nuova legge, un adulto sano di mente affetto da una malattia incurabile che potrebbe causargli la morte entro sei mesi, e la cui sofferenza è “insopportabile”, può richiedere una dose di farmaco letale. La richiesta deve essere firmata dal medico del paziente e da uno indipendente, con il consenso dello psichiatra qualora ci fossero dubbi sulla capacità di prendere la decisione. Il ministro della Giustizia, Andrew Little, ha annunciato che la legge entrerà in vigore nel novembre 2021.

Poco più di anno fa, anche la Spagna, con 210 voti a favore, 140 contro e 2 astensioni, ha approvato l’introduzione del progetto di legge sull’eutanasia del PSOE (Partito socialista spagnolo).

In un’intervista televisiva dello scorso marzo al più grande esperto spagnolo di cure palliative, l’anestesista Marcos Gómez Sancho, fra l’altro ex presidente de la Sociedad Española de Cuidados Paliativos (Secpal), aveva asserito come su 25mila pazienti trattati nella sua lunga vita professionale, solo 3 o 4 gli avevano espressamente richiesto l’uso dell’eutanasia dopo aver iniziato il ciclo di cure palliative.

«Quando i pazienti arrivano, afflitti dai dolori di un tumore al pancreas o di altra natura, normalmente chiedono di poter morire. Dopo la prima puntura di morfina, questa richiesta scompare. Se si iniziano le cure palliative, la richiesta non torna più se non in casi rarissimi: tre o quattro, sulle 25 mila persone che ho trattato in ventotto anni. Il problema in Spagna è che ci sono troppo poche cure palliative: 120 mila pazienti all’anno ne hanno bisogno, ma solo la metà le ricevono. Non si investe nelle cure palliative perché non è cosa brillante, come lo sono i trapianti. È uno scandalo che si approvi una legge per mettere fine alla vita dei malati». Questa posizione metterebbe in luce un fatto importante: la gente decide di voler morire per troppa sofferenza fisica e mentale.

Ma se questa sofferenza non vi fosse? Probabilmente le richieste calerebbero, o almeno è ciò che indicano i dati a medio-lungo termine.

Inguaribile è sinonimo di incurabile?

Nel 2019 in Olanda sono morte per eutanasia 6.361 persone, pari al 4% dei decessi: nel 91% erano pazienti considerati terminali, mentre i restanti casi relativi a persone affette da gravi disturbi psichici, come la depressione.

Per identificare i bambini che hanno “diritto di morire” vanno soddisfatte alcune condizioni: “nessuna prospettiva di guarigione e sofferenza intollerabile” sono concetti generici e da interpretare. In Belgio l’eutanasia dei bambini è permessa dalla legge, con due casi di morte procurata a piccoli di 9 e 11 anni nel 2016 e 2017, mentre in Svizzera è concesso il suicidio assistito, una pratica nella quale i medici accompagnano il soggetto fino all’assunzione di un farmaco che prima li addormenta profondamente e poi, mezz’ora dopo e nella totale incoscienza, procura loro un arresto cardiaco.

Lo scorso settembre la Congregazione per la Dottrina della Fede nella sua lettera Samaritanus Bonus, dedicata alla «cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita», ha espresso senza mezzi termini l’immoralità dell’eutanasia. La Chiesa ritiene di dover ribadire come insegnamento definitivo che l’eutanasia è un crimine contro la vita umana perché, con tale atto, l’uomo sceglie di causare direttamente la morte di un altro essere umano innocente. (…) L’eutanasia è un atto intrinsecamente malvagio, in qualsiasi occasione o circostanza».

Ci si appella a quello che è il suo ordinamento canonico, un insieme di norme giuridiche formulate dalla Chiesa; questa accomuna la vita stessa come un “valore irrinunciabile” e l’intenzione di porvi fine, al di là della motivazione che spinge la persona a ponderare un simile gesto, è assolutamente deprecabile e manifestata nella negazione di svolgere il rito funebre a coloro che fanno ricorso all’eutanasia o al suicidio assistito.

Benché siano ormai diversi i Paesi che tentano di regolamentare la “buona morte”, nessuno – o quasi nessuno – di essi lo fa per una questione eugenetica. L’eugenetica “indica tutto un insieme di teorie e pratiche miranti a migliorare la qualità genetica di una certa popolazione”, che in questo frangente può però assumere l’aspetto di mezzo totalitario, come in passato applicato dai nazisti (sterilizzazione di massa a “razze” non ariane, od a chi semplicemente era considerato come inferiore e promotore di una vita priva di valore).

Si ritorna dunque al punto iniziale e cruciale della questione ma che vede più e diversificati snodi nella sua soluzione: morire può essere una scelta libera? Come può una persona pensare di avere una visione chiara e completa a riguardo?

La sofferenza in sé, soprattutto se intensa, è un’esperienza intima, personale e per ciò assai soggettiva. Quantificare un malessere in termini teorici è impossibile tanto quanto il cercare di spiegarla in termini giuridici. Il “giustificare” dunque la scelta di un singolo che vuole liberarsene con un’azione tanto drastica ed ineluttabile, è al contempo un rischio: la libertà di decidere per sé stessi non andrebbe intaccata, ma quanto di raziocinio vi rimane nell’individuo se costantemente messo sotto pressione dalla sofferenza che l’ha indotto a ponderare una simile decisione? Quanto di raziocinio vi dev’essere nella persona, nell’istituzione, incaricata a permettere che un simile fatto infine accada?

La condanna morale posta dalla Chiesa nella lettera Samaritanus Bonus è molto sensata: condannare chi non si adopera a riservare agli ammalati le giuste cure, il giusto sostegno, la giusta dignità.

Il “giusto” è forse l’unico percorso che andrebbe percorso in quanto persona: perché la vita è sacra, unica, lottare per essa è un diritto inderogabile. Vi è però anche il dovere di fare il possibile affinché il diritto dell’uomo non venga alterato per cause esterne alla sua decisione.

Come dice il professore Marcos Gómez Sancho diamo prima a tutti, in tutto il mondo, la possibilità di curarsi e andare avanti con le cure palliative. Queste, accompagnate dall’amore e dal calore di medici, amici, ma soprattutto della famiglia, possono porre il paziente in uno stadio almeno di indecisione, di riflessione, perché non in preda a ogni tipo di dolore.

L’eutanasia non dev’essere una conseguenza dell’inadempienza medica e sociale; non dev’essere l’unica soluzione attuabile per il malato perché portato in un perpetuo declino fisico e psichico. Non si dev’essere “costretti” a ponderarla perché le soluzioni palliative non si rivelano adeguatamente congeniali.

Come detto prima: vi è il diritto di vivere. Di vivere una vita dignitosa.

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