venerdì, Settembre 29 2023

Abby Johnson abbraccia la causa di Planned Parenthood (istituzione
“sanitaria” statunitense in cui si praticano aborti, coinvolta negli ultimi
anni in scandali di vendita di tessuti embrionali di feti abortiti), quando
è molto giovane, iniziando a prestare servizio dapprima come volontaria e
assumendo, in seguito, addirittura il ruolo di direttrice. Dopo otto anni
dal suo ingresso, però, decide di cambiare completamente rotta,
schierandosi nel fronte pro-life.

La sua storia – raccontata nel libro unPlanned, scritto dalla
stessa Abby Johnson con l’aiuto di Cindy Lambert (genere: biografia, anno
della prima pubblicazione: 2010, Casa Editrice: “Tyndale Momentum”;
tradotto e pubblicato nel 2011 in spagnolo dalla casa editrice “Palabra”) invita a riflettere sia coloro che sono favorevoli all’aborto,
sia quanti si battono per i diritti dei bimbi non nati, sia le donne che
portano dentro una ferita…


La violenza non è mai la strada per portare il bene

Quando Abby entra in Planned Parenthood, non considera l’aborto un
bene, ma pensa che sia un “rimedio inevitabile” in alcuni casi.

È convinta di essere “dalla parte della ragione”, quando sostiene che
“interrompere una gravidanza indesiderata sia un diritto”. A rafforzare
sempre di più quell’idea, gli atteggiamenti negativi di alcuni esponenti
del fronte pro-vita: di fronte alle minacce, alle offese, ai cartelli di
cattivo gusto indirizzati alle ragazze in crisi che si dirigono nella
clinica, Abby prova rabbia per gli aggressori e compassione verso le
giovani vittime.

Le sembra chiaro: al contrario dei carnefici che le assalgono là fuori, i
lavoratori della clinica si fanno carico delle sofferenze e dei bisogni di
quelle donne sole, fragili, spaventate.

Inoltre, l’obiettivo dichiarato dell’istituzione è quello di ridurre il
numero di aborti, grazie alla pianificazione familiare: Abby si aggrappa a
quel fine, per giustificare la sua permanenza in un “luogo di morte” (come
lo definirà lei stessa più avanti), sebbene non viva del tutto in pace con
la sua coscienza.

Un dramma personale

La compassione per quelle ragazze in difficoltà è frutto, tuttavia, anche
di un’esperienza personale passata.

A vent’anni Abby scopre di aspettare un bambino da un ragazzo più grande,
che ha già un figlio e non vuole averne altri. Davanti a lei, intravede una
vita rovinata da quel bebè arrivato “nel momento sbagliato” e non sa che
fare. “È semplice…”, le dice allora Mark, il suo ragazzo, proponendole di
abortire, con la stessa tranquillità con cui si offrirebbe un bicchiere
d’acqua. È l’inizio del travaglio interiore di Abby.

La ragazza abortisce, senza realizzare veramente cosa stesse facendo e
senza farne parola con nessuno. Anche quel dramma nascosto la porta a
diventare volontaria presso Planned Parenthood, luogo in cui
nessuno avrebbe mai giudicato il suo doloroso passato.

La preghiera silenziosa e l’amicizia gratuita

Qualche anno più tardi, Abby si ritrova di nuovo incinta e, quasi senza
pensarci, pone fine anche a quella gravidanza, dicendosi: “Non sto
ammazzando nessuno, non c’è ancora un bambino formato dentro di me. E poi
non ho scelta. Sto solo andando avanti con la mia vita”. La sua relazione
con Mark stava volgendo a termine e lei non voleva essergli unita per
sempre a causa di un figlio.

Il secondo aborto, però, scaverà in Abby ferite ancora più profonde del
primo…

L’aborto era un male… Ormai lo sapeva, ma non riusciva ad ammetterlo.

Nel frattempo, incontra dei sostenitori della vita pacifici e accoglienti:
persone che sanno offrire aiuto alle ragazze in difficoltà, anziché urla di
disprezzo, che sanno pregare silenziosamente perché trionfi la vita e che
propongono con gentilezza un’alternativa all’aborto. Queste persone
costringeranno Abby a mettersi in discussione.

A colpirla molto profondamente sarà, in particolare, una loro iniziativa:
“40 giorni e 40 notti per la vita”: una campagna consistente nella
preghiera incessante per le donne, per i bambini, per i promotori
dell’aborto.

“E se avessero ragione? Se il vero bene fosse difendere la vita, sempre e
comunque? Se Dio fosse dalla loro parte e non dalla mia? Se io mi stessi
sbagliando?”

Queste domande, seppur soffocate, inizieranno a fare ripetutamente
capolinea nella mente di Abby…


Le bugie e gli eufemismi non possono cancellare la realtà

Anni dopo la fine della storia con Mark, Abby si sposa con Doug, uomo buono
e paziente, col quale avrà anche una figlia. Egli è contrario all’aborto e
i due vivono dei profondi contrasti. L’uomo, però, la rispetta e la aiuta a
riflettere senza offenderla.

Nel frattempo, Planned Parenthood entra in crisi economica e,
sebbene pubblicamente l’istituzione dichiari che il suo scopo è quello di
ridurre il numero di aborti, ai dipendenti viene detto con insistenza di
trovare il modo di far crescere il numero di aborti per aumentare le
entrate (“i guadagni delle cliniche arrivano con gli aborti, non con la
pianificazione familiare”). Questa mercificazione di vite umane acuisce il
dissidio già presente in Abby.

Ciò che, però, la porterà a dire il suo “basta” definitivo, sarà il fatto
di dover collaborare in prima persona ad un aborto –sebbene fosse
un’assistente sociale e non un medico – per assenza di personale.

Riportiamo le parole con cui Abby descrive il momento in cui finalmente
vede la realtà senza filtri, il momento in cui capisce che con l’aborto non
si sta “interrompendo una situazione di disagio”, ma si sta eliminando una
vita umana, una persona:


È uguale a Grace a 12 settimane, pensai, sorpresa, ricordando la prima
volta che vidi mia figlia, tre anni prima, accovacciata e sicura nel
mio ventre. L’immagine che ora stavo vedendo mi pareva la stessa, anzi,
era più chiara e nitida. I dettagli mi sbalordirono: si vedevano
chiaramente il profilo della testa, le due braccia, i piedi, le dita.
Era tutto perfettamente formato. Subito l’ansia sostituì il ricordo di
Grace: cosa sto per fare? Sentii una tremenda fitta allo stomaco

.

[…] Stavo togliendo a quella donna il bene più prezioso della sua vita
e lei nemmeno lo sapeva.

Questo è l’inizio del viaggio di Abby verso la difesa della vita…

Il potere di un’accoglienza senza condizioni

Abby vede in Dio l’autore della sua conversione. Ella crede, infatti, che
il suo cuore e i suoi occhi siano stati aperti dalle preghiere sincere e
continue dei suo amici della Coalizione per la vita, dai quali è
stata accolta sia prima del suo cambiamento, sia dopo.

A seguito del suo cambiamento radicale, Abby è chiamata a comparire in
tribunale per difendersi da false accuse, viene tradita da persone che
riteneva amiche, si trova di punto in bianco in difficoltà economica,
eppure in quel periodo sperimenta una gioia, una pace e un senso di libertà
mai provati prima.

Poche settimane dopo la sua conversione, si troverà lei stessa a pregare
davanti alla clinica dove aveva lavorato per otto anni, convinta che
abortire fosse un diritto.

Un libro che parla di guarigione

Questo libro parla guarigione: guarigione dal cinismo, da una mentalità di
morte, guarigione dalle menzogne che ci raccontiamo per far tacere la
coscienza, guarigione dalla schiavitù del denaro, guarigione dagli
eufemismi che nascondono la verità, guarigione dagli errori commessi in
passato.

È un libro che fa riflettere sulla pazienza di Dio e sul valore del
rispetto per chi secondo noi vive nell’errore.

Quando Abby lavora ancora nella clinica di Planned Parenthood,
inizia a frequentare una comunità cristiana protestante, dalla quale, però,
viene cacciata per la professione che svolge. “Se solo avessero provato a
farmi capire che sbagliavo, invece di allontanarmi…”, affermerà Abby con
rammarico, dopo la sua conversione.

Pensiamo alla storia di Abby quando diventiamo intolleranti e aggressivi,
pensiamo ad Abby per tenere a mente che per aiutare qualcuno a riconoscere
i suoi sbagli servono amore e vicinanza.

Pensiamo ad Abby anche quando perdiamo le speranze, quando non vediamo
cambiamenti intorno a noi, quando ci sembra che il mondo sia inghiottito
dal male.

Questa testimonianza ci insegna che ciò che non accade in otto anni, può
succedere in tre settimane.

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