sabato, Settembre 30 2023


“Ai genitori spetta il coraggio di conoscere ed entrare nel mondo dei
media. Nessuna alternativa, i figli ci sono già”

—La famiglia in crisi o la famiglia come opportunità?

La famiglia è sicuramente sempre un’opportunità e una risorsa.

Fare famiglia è talmente corrispondente con il desiderio dell’umano di
costruire un’appartenenza profonda, un luogo nel quale si ha la certezza di
poter amare ed essere, da costituire il luogo d’eccellenza per lo sviluppo
delle qualità fondamentali dell’essere umano, e anche della convivenza
sociale. La famiglia, dunque, non è una sovrastruttura, ma è la culla
dell’umano. Abbiamo bisogno di credere nella famiglia, che è quello che
Giovanni Paolo II ha più volte chiesto durante il suo pontificato, anche se
oggi nelle famiglie sono presenti molte fragilità. La famiglia rimane
comunque il luogo buono dove far crescere ed educare uomini e donne.

—Costruire una famiglia non è da super-eroi?

Oggi, in Italia, costruire una famiglia è indubbiamente un’impresa eroica,
perché costruire una nuova famiglia somma due situazioni di partenza già
difficili, essere giovani e fare famiglia. Non è facile, in Italia, essere
giovani (il nostro sistema formativo, lavorativo e di welfare penalizza
pesantemente i giovani italiani). In più, la famiglia non è certo
un’opzione promossa dal contesto sociale. Due giovani che dicono oggi: “ci
sposiamo tra 6 mesi!”, si sentono dire: “ma chi ti lo fa fare?”

—E allora…?

Anni fa non era così: bisogna riscoprire la sfida fresca e gioiosa di fare
un progetto insieme e per sempre. Oggi fare famiglia non è facile perché è
un’impresa vissuta in un clima cinico che lascia soli i coniugi. Si tratta
sì di un eroismo, ma di un eroismo che deve considerare se stesso e deve
riuscire a presentarsi come “normale” e allo stesso tempo accattivante, un eroismo per uomini e donne veri.


—Spesso i genitori vedono che una parte del loro ruolo educativo è
stato preso dai media

. Possono riaverlo?

I genitori sono in grande difficoltà sulla responsabilità educativa in
quanto tale, con o senza i media. La difficoltà risiede nel fatto
stesso di essere genitori: dire sì e no, avere autorità ed esercitarla. In
genere, il contesto odierno non facilità lo sviluppo dell’autorità
genitoriale, perché nega il concetto di “rispetto dell’autorità”.
D’altronde, bisogna sempre ricordare che amare il destino dei figli non
significa lasciarli soli, ma piuttosto significa entrare in sintonia con
loro, guidare e far crescere i loro talenti fino a quando saranno autonomi.
L’autorevolezza, dunque, è uno dei codici fondamentali dell’educazione e
come tale deve essere recuperata.

—Autorevolezza come educazione?

Dico autorevolezza, e non autoritarismo, perché i due termini sono
ovviamente ben differenti; tuttavia bisogna avere ben chiaro che il ruolo
dei genitori è radicalmente diverso rispetto a quello dei figli. L’essere
genitori comporta l’esercizio di una responsabilità asimmetrica, non
democratica, che genera dunque uno squilibrio di potere. Si tratta di
esercitare una precisa e diretta responsabilità nei confronti dei propri
figli, che non sono altro se non il frutto dell’amore coniugale.

—E possibile combinare amore e autorità?

Si tratta di amare il proprio figlio non soltanto perché è “altro da te”,
ma di farlo diventare autonomo, educarlo nel rispetto della verità e nella
capacità di incontrare e conoscere la realtà come “altro da sé”, come dono.
Amare, quindi, implica incidere positivamente sullo sviluppo dei figli,
contrattando costantemente con la loro libertà. Esistono in questo contesto
tre parole chiave collegate tra loro: autorità, autorevolezza e
responsabilità. L’autorità implica esercitare un giudizio sul bene e il
male, evitando l’autoritarismo o l’estremo contrario, cioè la rinuncia alla
responsabilità del giudizio, in favore di un “laissez faire” solo in
apparenza politicamente corretto, che si risolve di fatto in una resa
dell’adulto di fronte alla responsabilità educativa.


—Che idea di famiglia viene presentata nell’opinione pubblica?

Nell’opinione pubblica è presentata una “non idea”, si tratta in effetti di
uno dei temi più difficili da discutere. L’idea di famiglia è lasciata
all’autodeterminazione degli individui, giacché qualunque modo di vivere
insieme è diventato famiglia. Invece, la famiglia come buona notizia, e non
solo cristiana, è l’incontro amorevole e pacificato dell’uomo e della
donna, aperto alla vita, che ne assume la responsabilità, e quindi educa, e
così facendo costruisce la società.


—Quali sarebbero gli elementi chiave del concetto famiglia

?

Ci sono quattro elementi dell’identità antropologica della famiglia: la
relazione/alleanza tra la differenza sessuale (la grande idea, nella
Genesi, che l’immagine di Dio risieda proprio: “uomo e donna li creò, a sua
immagine e somiglianza”), la capacità generativa, la responsabilità
educativa e la responsabilità sociale. Dal punto di vista ecclesiale si
potrebbe poi aggiungere la responsabilità di costruire la Chiesa.


— Quali sono i profondi bisogni della famiglia che non sono riportati
dai media

in modo fedele?

Il primo grande bisogno della famiglia, non svelato dai media, è
il bisogno di verità e amore nei rapporti interni alla famiglia stessa.
Oggi la famiglia deve affannosamente rincorrere ritmi di vita imposti a
tutti i suoi membri da una società piena di attività e impegni, ed il
rischio è che in questa congestione di impegni venga meno il cuore. La cosa
più importante è essere felici in casa propria, con le persone che ciascuno
di noi ha scelto come compagni di vita. Essere famiglia non è di per sé
garanzia di felicità. La felicità all’interno della famiglia è un desiderio
e un compito che ognuno di noi costruisce durante tutta la vita, giorno per
giorno.

Il secondo grande bisogno che fa fatica ad emergere è il bisogno di
condivisione e di apertura che ogni famiglia possiede. La famiglia che
chiude i propri confini nel proprio appartamento è una famiglia che poi
vive male; l’apertura alle altre famiglie è al contrario un mandato sociale
insito nello stesso “fare famiglia”. Spesso alla fine del corso di
preparazione al matrimonio la domanda reale sulla coppia è sulla
possibilità, per la giovane coppia, di riuscire a trovare compagnia,
accompagnamento e amicizia nel luogo in cui hanno deciso di andare a
vivere.

—Ci sono altri bisogni?

Un terzo bisogno della famiglia riguarda il discorso pubblico sulla
famiglia. Se vivi in una società dove la famiglia viene raccontata come un
nido di vipere, un luogo di violenza o una serie di rapporti che
imprigionano, allora è difficile avere un modello positivo. È dunque
opportuno pensare a come presentare il discorso famiglia in modo positivo,
come una “buona notizia”. Ci sono molte famiglie felici, seppure con
difficoltà e limitazioni, ma felici davvero, che non vengono proposte nei media e nelle serie televisive. Anche solo nel racconto di come i
giovani d’oggi cercano di costruire una famiglia c’è già una positività,
una rappresentazione di quell’ideale che si desidera realizzare.

—È così difficile educare in un contesto mediatico?

Oggi più di ieri la famiglia non educa da sola, anche se in fondo sempre è
stato così. Nel momento attuale il contesto sociale è particolarmente
incisivo, molto potente, e la distanza tra generazioni viene definita
fortemente dal rapporto con il mondo dei media. I genitori di oggi sono in
prima linea su questo cambiamento e si trovano in un passaggio critico,
soprattutto per la potenza dei nuovi media, che portano le persone a vivere
in un mondo del tutto virtuale. I genitori devono sapere che tutti i media
sono un’opportunità, ma anche un rischio. A loro spetta il coraggio di
conoscere ed entrare in questo mondo. Non ci sono alternative: i figli ci
sono già.

—Qualche consiglio pratico?

Forse la chiave è evitare l’isolamento dei propri figli davanti al computer
o alla consolle dei videogame e trovare anche lì uno spazio educativo
adatto ad ogni circostanza: per esempio, decidere che in casa c’è un solo
computer che sta in una sala comune (un po’ come si faceva una volta per la
TV), dove si condivide, dove si accompagna e si cresce insieme, aiuta ad
esercitare la libertà.

In altre parole occorre cercare spazi dove sia possibile educare nell’uso
responsabile dei media. Una lingua si impara in compagnia, e molti giovani
stanno ancora imparando l’alfabeto intellettuale nel campo virtuale: anche
se conoscono come funzionano i programmi dal punto di vista tecnico non
padroneggiano, invece, le sfumature di una lingua fatta di atteggiamenti
etici, di scelte relazionali, di valori che incidono in loro profondamente.
Sono immersi in un linguaggio mediatico che li mette improvvisamente in un
contesto culturale globale, dove concetti come amicizia, lavoro, amore,
famiglia, Dio, hanno subito molte pressioni ideologiche, e questo genera un
disorientamento valoriale molto difficile da contrastare.

Occorre quindi che le nostre famiglie divengano luoghi di esperienza e di
testimonianza della bellezza dello stare insieme, dei legami familiari,
dell’alleanza di coppia e di famiglia; solo così i nostri giovani sapranno
governare i nuovi media e le nuove relazioni ad essi collegate, e non
essere invece governati da chi li possiede, come troppo spesso succede.

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