domenica, Giugno 4 2023

Facebook, da anni ormai, influisce sulle nostre emozioni, sui nostri
rapporti e interazioni sociali. A dare l’allarme su questa incredibile
influenza, e in particolare sui possibili effetti che può avere sul
cervello umano, è proprio uno dei suoi fondatori, Sean Parker.

Durante una conferenza organizzata da Axios al National Constitution Center
di Filadelfia, negli USA, Parker, già fondatore di Napster e tra i primi a
promuovere lo sviluppo ed il lancio di Facebook, ha dichiarato senza mezzi
termini che “Facebook sfrutta la psicologia umana e solo Dio sa cosa
combina ai nostri figli”.

A tutti gli effetti ,Il famoso social network sembra un grandissimo
esperimento sociale che sta trasformando la società. Le nostre emozioni e
la nostra capacità di analisi passa e si forma sempre di più attraverso una
società digitale che per lo più si sviluppa, confronta e interagisce
proprio dentro i confini di questo social così potente e per certi versi
preoccupante. Anche per chi lo ha fondato e gestito nei primi mesi di vita.

I social sono una droga?

E’ stato lo stesso Parker a definire Facebook un “loop di validazione
sociale, in grado di sfruttare le falle della psicologia umana”. Detto in
altri termini, Facebook – come tutti gli altri social – approfitterebbe
della vulnerabilità della psicologia umana per creare una forte dipendenza
attraverso il meccanismo dei “Mi piace”, “commenti” e “condivisioni”.

Facciamo qualche esempio per capirci meglio. Vi siete mai chiesti perché
guardiamo di continuo il nostro smartphone? Probabilmente perché aspettiamo
un messaggio da una persona importante, oppure per monitorare quante
persone stanno commentano il nostro status su Facebook. Tipico esempio di
condizionamento dei social è il caso delle “spunte blu” di Whatsapp. Chi di
noi non ha mai esclamato “Ecco ha visualizzato il mio messaggio ma non mi
risponde!”.

Ma la cosa ancora più sorprendente, ed è questo il vero punto, è la nostra
reazione emotiva nei confronti di tutto quello che condividiamo online. Se
i nostri follower rispondono in modo positivo, siamo contenti perché
piacciamo. Diversamente, se riceviamo pochi like o condivisioni, ci
sentiamo non sufficientemente apprezzati dalla nostra comunità virtuale, o
peggio ancora ignorati. Sean

Sean Parker ci ha preso in pieno: Facebook e tutti gli altri social ci spingono
alla ricerca di una continua approvazione sociale di se stessi da parte
della nostra rete di contatti virtuali. Vogliamo avere consensi, essere
condivisi, perché questo genera in noi piacere ed autogratificazione.

Ma da cosa dipende questa chimica della felicità? Dalla dopamina. L’apprezzamento verso qualcosa che abbiamo
condiviso attraverso i social genera dopamina, un potente
neurotrasmettitore, che ha la grande capacità di stimolare le nostre
emozioni, dare piacere e soddisfazione, andando così a regolare i nostri
stati d’animo. Ecco perché non è esagerato affermare che i social creano
dipendenza e condizionano giornalmente il nostro umore.

Facebook sta cambiando il nostro modo di apprendere

Ma non solo. Il grande sospetto che inizia ad emergere è la possibilità che
Facebook possa influire anche sul nostro modo di apprendere, memorizzare,
relazionarsi con gli altri e fare ragionamenti. In poche parole di cambiare
il nostro cervello.

Ogni aggiornamento, ogni cambiamento di regole dettate da Facebook
influisce sulle interazioni e sul coinvolgimento all’interno del social e,
di conseguenza, influisce anche sul nostro cervello, soprattutto dei più
giovani. Ad essere coinvolte sono le dinamiche di apprendimento e
relazione, la capacità di concentrazione.

L’apprendimento cognitivo è compiuto organizzando le informazioni, facendo
confronti, formando nuove associazioni ed è guidato da esperienze passate e
presenti. Ma a cadenza regolare questi scenari vengono mutati, cambiano le
regole del gioco, e ciò comporta l’impossibilità di poter costruire nel
tempo un apprendimento lineare.

Anche la definizione della propria identità non passa più attraverso il
solo gruppo dei pari, poichè questo non è più individuabile e
“controllabile”.

Insomma se è vero che la tecnologia e il progresso sono inarrestabili, è
anche vero che bisognerebbe controllare e osservare con attenzione ciò che
sta succedendo online. In questi ambienti così liquidi da scivolarci tra le
mani, si stanno sgretolando le regole note e definite finora e non sappiamo
quali saranno gli effetti sul futuro dei più giovani.


Facebook e cervello: cosa hanno scoperto le ultime ricerche

Le comunità di Facebook, i gruppi, le interazioni sembrano aver sostituito
il gruppo di riferimento reale e tangibile degli amici. Ma gli effetti
della rete possono essere ben più gravi di quanto sottolineato dallo stesso
Sean Parker.

Secondo i ricercatori della University Medical School di Shanghai: nel cervello degli
Internet-dipendenti si trova una anomala quantità di materia bianca, ossia
dei fasci di fibra nervosa rivestiti di mielina che garantiscono il
collegamento tra l’encefalo e il midollo spinale – nelle aree preposte
all’attenzione, al controllo e alle funzioni esecutive.

Questo determinerebbe un cambiamento fisico del cervello. Insomma, chi
frequenta i social network con assiduità ha un cervello diverso rispetto a
chi non ne fa uso. Già, perchè i social e i suoi effetti somigliano sempre
più agli effetti delle sostanze stupefacenti.

Quindi, tutte le interazioni nelle comunità possono essere solo definite
bisogno di condivisione o è qualcosa che va oltre? È il bisogno compulsivo
di rendere la propria vita sociale, pubblica, scenografica. L’evanescenza
di quei messaggi sta cambiando anche la memoria, la capacità di
concentrazione e di deduzione logica.

Insomma i social network forse non ci stanno rendendo stupidi, verrebbe da
dire, ma non è così. In realtà siamo di fronte ad un cambiamento storico. Le
nuove generazioni non riescono più a concentrarsi, a discernere ciò che è
vero da ciò che non lo è, come succede per le fake news. Ma perchè?

Perchè il nostro cervello ottiene una quantità di informazioni tale da
rallentarlo e ciò rallenta anche la capacità di prendere decisioni
nell’immediato. Come dimostrato da un esperimento di Angelika Dimoka,
direttore del Center for Neural Decision Making della Temple University.
La ricercatrice ha invitato un gruppo di volontari ad una sorta di asta,
prendendo in esame, prima di effettuare l’offerta, una serie di variabili
così da ottenere la migliore combinazione al prezzo più basso. La
ricercatrice ha osservato come, all’aumento delle variabili, aumentasse
anche l’errore, e ha dimostrato tramite risonanza magnetica, che il carico
informativo fa aumentare l’attività della corteccia prefrontale dorso
laterale, responsabile dei processi decisionali e del controllo delle
emozioni. Superata una certa soglia di informazioni e parametri da
considerare, il cervello subiva una sorta di black out cognitivo che
impediva la presentazione di una nuova offerta. Insieme a questa, i
soggetti mostravano segni di ansia e stanchezza mentale.

Insomma, l’era digitale non ci sta rendendo stupidi ma sta cambiando
drasticamente il nostro sentire ed il nostro comportamento. Siamo quasi
parte di un’enorme box Skinner e il flusso continuo di informazioni sta
generando stanchezza e ansia.

Queste, unite ad una vita frenetica e piena di stress sta contribuendo a
rallentare i processi decisionali. L’unica vera soluzione è rallentare,
passare dall’“always on” al “sometimes on”. Altrimenti a risentirne sarà
tutta la nostra vita, le relazioni, il rapporto umano. Non si tratta di
allarmismo ma bensì di riprendere in mano la propria vita ed essere davvero
padroni delle proprie scelte.

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