Se gli strumenti pensati per comunicare diventano ostacolo alla comunicazione…
I mezzi di comunicazione sono strumenti preziosi per sviluppare la nostra
naturale socialità: ci permettono di restare in contatto con persone
lontane, di conoscere nuove realtà, di spaziare in campi del sapere cui,
forse, non saremmo mai approdati altrimenti. Perciò, potremmo dire che
questi strumenti abbattono delle barriere: barriere spazio-temporali,
barriere culturali.
È possibile, però, che quegli stessi strumenti – che dovrebbero appunto
aiutarci a comunicare – diventino invece ostacolo ad un’autentica
comunicazione.
Dall’aggregazione all’isolamento
Libri, radio, tv, computer, telefonini, videogames o tablet sono strumenti
che, se usati correttamente, favoriscono l’aggregazione, la condivisione.
Eppure possono produrre esattamente l’effetto opposto… ovvero possono
diventare causa di isolamento.
A chi non è mai capitato di vedere un gruppo di ragazzi ad una festa, in
piazza o in un ristorante, tutti assieme, eppure ognuno da solo col suo
cellulare?
Quanti bambini passano le loro giornate rinchiusi in casa, da soli, davanti
alla tv, ad un computer o alla Playstation invece di socializzare con i
propri coetanei?
E ancora, chi di noi, vedendo un bel paesaggio o un monumento, non ha mai
pensato di fotografarlo (e magari postarlo sui Social Network), prima
ancora di contemplarlo e di condividere sensazioni e pensieri con chi aveva
accanto?
Sono solo esempi di come strumenti pensati per unirci gli uni agli altri
possono, al contrario, allontanarci.
Le “barriere” create dal cellulare
Uno degli strumenti che nella vita quotidiana può “creare barriere” tra noi
e coloro che abbiamo accanto è senza dubbio il telefono cellulare.
Non vogliamo fare qui un’invettiva contro lo smartphone (spesso è
l’utilizzo che facciamo delle cose a renderle “buone” o meno), però va
ricordato che il rischio della dipendenza è sempre in agguato.
Basti pensare che cominciamo in media a usare lo smartphone alle 7:23 del
mattino per finire alle 23:21 di sera, per un utilizzo complessivo totale
di quasi 3 ore al mezzo al giorno. Queste ore moltiplicate per i sette
giorni della settimana fanno quasi 24 ore. In pratica è come se passassimo
un’intera giornata a settimana a interagire con il nostro telefono (si
legga a tal proposito un altro nostro
articolo
, che affronta proprio questo argomento).
Studi recenti
confermano che la dipendenza da cellulare è ormai un fenomeno diffuso in
qualunque Paese avanzato, a prescindere dall’età, dal sesso e dalla
condizione sociale: esso, anziché diventare uno strumento di appoggio per
vivere il confronto con gli altri, diventa uno strumento per gestire
abitualmente le nostre relazioni. In tal modo è possibile che la
comunicazione tramite telefono sostituisca la “comunicazione reale”… lo strumento tecnico prende cioè il
sopravvento e si sostituisce alla realtà.
Se la semplicità dei bambini può riportarci alla realtà
Più di ogni studio sul tema, però, a mostrarmi come a volte certi preziosi
strumenti diventino ostacolo ad un’autentica comunicazione è stato mio
figlio.
Nella sua spontaneità (si tratta di un bimbo di pochi mesi), è riuscito a
farmi capire che stavo vivendo male il mio rapporto con la tecnologia.
Poco tempo fa, come ogni neonato, ha iniziato a fare i suoi primi sorrisi:
uno spettacolo meraviglioso.
Io, invece di gustarmi quelle adorabili smorfiette, ho pensato bene di
armarmi subito di cellulare, per fotografarlo, per immortalare quel
momento.
Quando però mio figlio, al posto della sua mamma, si è ritrovato davanti al
viso lo smartphone, ha smesso di sorridere di colpo.
“Non ridi più, amore?”, gli ho domandato guardandolo. Lui, allora, ha riso
di nuovo.
Così, ho ripreso il cellulare e ho provato a fotografarlo.
Ancora una volta, però, ha smesso di sorridere davanti al mio smartphone.
In quel momento ho capito una verità per niente scontata (soprattutto in
un’era come la nostra, in cui spesso diventiamo vittime del fanatismo della
“condivisione a tempo reale”): lui voleva sorridere a me, alla sua mamma,
in carne ed ossa.
Sorrideva perché mi vedeva, perché gli davo sicurezza. Sorrideva per me, a
me e non aveva più motivo di mostrare gioia e stupore se al mio posto
trovava davanti a sé uno strumento senza vita.
Il cellulare (utile in moltissimi casi!), in quel momento era diventato un
ostacolo tra me e lui, si frapponeva tra il suo volto e il mio volto,
rendeva meno autentica la nostra comunicazione.
Più che mai in quell’occasione ho capito che a volte bisogna lasciare lo
smartphone in tasca e godersi il sorriso di chi abbiamo accanto.