sabato, Giugno 10 2023

“Perché sposarsi?” è stata la domanda cui il professor Hèctor Franceschi,
docente di Diritto Matrimoniale Canonico presso la Pontificia Università
della Santa Croce, si è proposto di rispondere con la lezione inaugurale a
lui affidata, durante la cerimonia di apertura del nuovo anno accademico.

Il docente, con la dovuta serietà ma anche con un pizzico di ironia, ha
affrontato tale questione, estremamente attuale e delicata, partendo dalla
constatazione che sempre più persone credono che si possa stare insieme
anche senza sposarsi. Le unioni more uxorio, infatti, aumentano
esponenzialmente, mentre diminuiscono i matrimoni. “Non è che sempre più
giovani non si sposano in Chiesa, – ha specificato il docente – ma proprio
non si sposano”.

Se il matrimonio è visto solo come una formalità

Sempre più spesso le coppie pensano che non sia poi così importante
‘ufficializzare’ il loro legame.

“Molti hanno una visione legalista del matrimonio e lo riducono ad una
formalità, lo associano ad un documento o ad una bella festa… – ha spiegato
il docente – Eppure il matrimonio è molto di più: limitarsi a legalizzare
l’unione non è propriamente contrarre matrimonio. Il matrimonio non è
qualcosa che viene costruito dalle leggi e dalle culture, è una realtà
naturale, che, tuttavia, non si esaurisce affatto sul piano biologico e
istintuale: esso è piuttosto ‘naturale’ nel senso che è la forma umana
dello sviluppo completo della sessualità. Perciò, dobbiamo trovare dei modi
per spiegare ai giovani che il dono di sé, in quanto maschio e femmina, in
un’unione esclusiva, fedele, indissolubile e feconda rappresenta il bene
dell’essere uomo o donna. E non perché lo dicano la Chiesa o lo Stato, ma
perché così è antropologicamente”.

Il matrimonio come progetto di vita

“Uno degli elementi che impediscono la comprensione della vera natura del
consenso matrimoniale è il fatto che i fidanzati intrattengono frequenti
rapporti sessuali – ha sottolineato il docente – Questo rende difficile
vedere che esiste un prima – in cui due persone si conoscono e maturano
l’idea di sposarsi – e un dopo – in cui l’uomo e la donna, divenuti
coniugi, si appartengono”.

Nella nostra società “attendere” significa spesso “perdere tempo”: siamo
portati a vivere “tutto e subito”, “qui ed ora”, invece di intraprendere un
cammino lungo e faticoso, che conduca alla verità su una unione e che la
porti alla sua piena maturazione. Per questo fatichiamo a riconoscere la
sostanziale differenza tra fidanzamento e matrimonio.

Tuttavia, in una cultura caratterizzata dal provvisorio e dalla ricerca di
un benessere immediato, “dobbiamo saper trasmettere ai giovani che il
matrimonio non è una semplice festa nuziale – ha precisato Franceschi – ma
un progetto di vita, che coinvolge tutta la persona e che richiede delle
virtù: fortezza, generosità, prudenza, magnanimità, carità al di sopra di
tutto”.

L’importanza del vincolo

Citando Papa Francesco in Amoris Laetitia, Franceschi ha affermato
che abbiamo bisogno di una pastorale del vincolo, che
aiuti i giovani a capire che amare significa darsi in modo totale ed
esclusivo, accogliere pienamente l’altro e non solo provare dei forti
sentimenti.

Vale la pena sposarsi, ma vale la pena anche comunicare la bellezza e la
ricchezza del matrimonio.

Si tratta di un impegno notevole, ha ammesso il docente in conclusione: “La
sfida può sembrare immane, ma se cominciamo con l’adeguata formazione dei
sacerdoti, dei fedeli laici e dei religiosi, saremo un efficace strumento
nel cambiamento delle nostre culture. Le sfide sono grandi, ma abbiamo
tutti gli strumenti per affrontarle”.

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