giovedì, Giugno 1 2023

Raffaele Simone, Presi nella rete. La mente ai tempi del web,
Garzanti, Milano 2012.

Come cambia l’intelligenza umana al tempo di Internet? In che modo piccoli
e grandi schermi digitali ridisegnano le nostre pratiche di lettura e
scrittura, modificando l’idea stessa di testo? A queste e ad altre
impegnative domande cerca di rispondere il saggio Presi nella rete. La mente ai tempi del web, ultima tappa di un
interessante percorso di approfondimento sugli effetti cognitivi e
culturali della rivoluzione digitale iniziato oltre dieci anni fa dal
linguista Raffaele Simone, con l’uscita del fortunato (e discusso) libro La Terza Fase. Forme di sapere che stiamo perdendo.

Il contesto –
L’esplorazione delle nuove forme di testualità, e degli altri temi
centrali, muove da una analisi di contesto fortemente critica che guarda
con preoccupazione e diffidenza all’avvento di tablet e smartphone. Simone
descrive la nostra epoca come una mediasfera, un universo popolato
da dispositivi tecnologici convergenti, mobili e onnipresenti, a cui è
praticamente impossibile sottrarsi, che inducono in modo arrogante e
intrusivo trasformazioni radicali sul piano della noosfera (la
nostra mente) e della ecologia personale (i nostri spazi di vita).
All’avvento della rete e dei dispositivi ad essa connessi si deve
– secondo lo studioso italiano – l’innesco di uno straordinario esattamento della specie con la comparsa di funzioni e di bisogni
prima inesistenti (al contrario di quanto avviene nell’adattamento
, nel quale è la funzione a creare l’organo).

I sensi e l’intelligenza –
Immerso in questo scenario anomico, che lo interpella in modo perentorio e
irresistibile, l’essere umano sperimenta il declino di forme di sapere,
l’involuzione di aree del suo corpo, la ridefinizione gerarchica degli
organi di senso all’insegna di una crescente preminenza dell’ascolto e
della visione non-alfabetica, che consentono una percezione di
dati numerosi e compresenti, richiedenti «un basso grado di governo».
L’intelligenza sequenziale, che si nutre di libri e scrittura e che
permette una modalità di conoscenza di tipo lineare, sta lasciando il posto
– avverte Simone – ad un’intelligenza simultanea, per molti versi più
primitiva, favorita dalla diffusione di codici iconici, che si caratterizza
per una modalità di conoscenza in cui prevale la contemporaneità degli
stimoli e della elaborazione, origine di fenomeni quali l’arresto
dell’alfabetizzazione, l’impoverimento del linguaggio, la disaffezione alla
lettura, l’indebolimento delle capacità mnesiche e di concentrazione.

Vecchie e nuove forme di testualità –
Con l’alfabeto – sottolinea Simone – anche «le sue principali
materializzazioni fisiche, il testo e il libro, hanno gradualmente cessato
di essere il terreno privilegiato al quale si applica l’azione dell’occhio
e hanno cominciato a perdere terreno». Il digitale ha trasformato il libro
classico in un’entità diversa, dalla natura profondamente social e
interattiva,capace di raccogliere enormi quantità di dati. Ha fatto sì che
il testo si separasse dal tradizionale supporto cartaceo perdendo la sua
stabilità e portandolo, plasticamente, a dissolversi e a declinarsi in
vario modo a seconda della tecnologia adottata. Un disarticolarsi che ha
allentato il suo legame con l’autore, proponendolo sempre di più come un
«oggetto aperto e penetrabile», indefinitamente interpolabile.

Lettura e scrittura –
L’introduzione e la diffusione dei computer prima e della retetelematica
poi– ci ricorda Simone – ha provocato profondi mutamenti nelle pratiche di
lettura e scrittura, sia sul piano della loro etologia (ossia dei
comportamenti e delle regole) che su quello della loro ecologia
(l’ambiente organizzato in cui si svolgono). Se guardiamo alla classica
idea di lettura, il nostro pensiero ci rinvia ad atmosfere di intimità,
silenzio e solitudine e a vissuti di polimorfa natura sensoriale iscritti,
come sanno bene gli immigrati digitali, nell’esperienza stessa
della fruizione del testo cartaceo. Di tutt’altro segno le pratiche figlie
della cultura digitale, veicolate dalla connettività diffusa e pervasiva,
in cui l’esperienza si fa multimodale e multimediale e tende a consumarsi
in ambienti affollati e rumorosi. Per quanto riguarda la scrittura, basterà
accennare alle infinite possibilità di variazione del testo consentite
dalla tecnologia per capire come l’informatica abbia rivoluzionato processo
ed elaborazione del pensiero.

Sono solo alcuni degli spunti che Presi nella rete offre alla
riflessione e curiosità del lettore, in un gioco di intrecci
interdisciplinari e di rinvii a studiosi e teorici disseminati lungo un
esteso arco temporale, dei quali sono ripresi, aggiornati e sviluppati temi
e tesi, che non aggiunge particolari elementi di novità a quanto già si
conosce, ma che ha il merito di offrire ai meno esperti una prima mappa per
orientarsi e ai più informati una panoramica a 360 gradi capace di
stimolare nuovi percorsi di approfondimento e di sistematizzazione. Un
saggio colto e di ampio respiro, nel quale non mancano rapidi accenni al
delicato rapporto tra mediasfera e democrazia e alle problematiche
di una scuola sempre più “digitale”, alle prese con nuove forme di
apprendimento e metodologia didattica. E in cui destano particolare
interesse le articolate riflessioni sulla testualità, soprattutto per ciò
che riguarda i processi di decondizionamento dalle variabili tradizionali
(si pensi al superamento della rigidità dello spazio di produzione
testuale); sul libro, mezzo per antonomasia di conservazione e trasmissione
della conoscenza; sulla lettura, che anche nell’era digitale resta un
alimento fondamentale per il cervello dell’uomo, come ribadito a più
riprese dalle neuroscienze; sulla scrittura, tecnica che richiede abilità
complesse, ma anche dispositivo protesico che amplia, tra le altre, le
capacità di ragionamento e di memorizzazione.

Un’analisi a tutto campo, a metà strada tra vecchio e nuovo, che evoca
sentimenti contrastanti in chi – “moderatamente” digitale – coltiva un’idea
tradizionale di lettura e di scrittura, abituato fin da bambino a vedere,
sfogliare e annusare i libri cartacei, ma che al tempo stesso apprezza le
novità introdotte dalla tecnologia. Presi nella rete, se vogliamo,
è a suo modo anche questo: un viaggio nella memoria, che sostiene con
passione le ragioni della cultura tradizionale, ma che si sforza di
riconoscere i meriti della cultura digitale. Il suo autore – accademico di
vaglia, polemista raffinato e disincantato, autore di saggi e di pamphlet
apprezzati a livello internazionale – è per sua stessa ammissione «un
signore nato prima della metà del secolo scorso» convinto che l’esplosione
della telematica sia «per molti versi una delle più straordinarie
manifestazioni di follia (a volte anche di idiozia) collettiva che si siano
mai avute. Ma non tutto il male vien per nuocere…».

A ben vedere, i suoi rilievi critici alla modernità digitale più che da una
visione apocalittica, per dirla con Umberto Eco, muovono da una pressante
preoccupazione di fondo che intreccia il tema dell’apparente
ingovernabilità dei dispositivi tecnologici a quello dell’oblio, del
rifiuto del passato nelle sue varie forme. E tuttavia, l’accorato grido
d’allarme dell’autore produce in taluni casi osservazioni parziali, non
sempre condivisibili – in particolare quelle che descrivono una umanità 2.0
consegnata al limite del non-ritorno a rituali ossessivi-compulsivi e a
macchine ansiogene e tiranne – che sembrano non tenere in giusto conto che
quella digitale è una realtà magmatica di difficile rappresentazione
cartografica, che presenta limiti e insidie, certo, ma che offre anche
infinite risorse.

Se mantenere un atteggiamento riflessivo dinanzi ai facili entusiasmi del
fondamentalismo tecnologico s’impone come una necessità per lo studioso,
altrettanto importante è riuscire a mantenere misura nel giudizio e
apertura mentale verso il nuovo che avanza, per evitare il pericolo –
sempre in agguato – di contrapporre integralismo ad integralismo.

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