Ecco le linee-guida per il diritto all’oblio sul web. Ci sarà più privacy o più diritto all’informazione?
L’Article 29 Working Party ha pubblicato lo scorso 26 novembre, le linee
guida a seguito della sentenza della Corte di Giustizia europea sul diritto
all’oblio su internet.
“
Google e il diritto all’oblio. Le parole di Eric Schmidt (CEO): siamo
qui per ascoltare
”, oppure “ Diritto alla privacy. Google alla ricerca dell’equilibrio”
o ancora “ Parte il tour europeo di Google sul diritto all’oblio”.
Sono questi, ma ce ne sarebbero ancora tanti altri, i titoli strillati in
prima pagina qualche mese fa dai principali giornali che seguivano la ormai
storica sentenza su Google del 13 maggio scorso della Corte di Giustizia
dell’Unione europea. Sentenza che, per chi non lo sapesse, poneva un serio
problema all’azienda di Mountain View (ma anche a tutti gli altri motori di
ricerca su internet) in quanto stabiliva che è nel pieno diritto dei
cittadini europei richiedere ai motori di ricerca online l’eliminazione
dalle loro pagine dei risultati di eventuali link che rimandassero a
contenuti personali, salvo ipotesi particolari di interesse pubblico.
Ne era scaturito addirittura nello scorso autunno un tour europeo (
vedi il nostro articolo
), guidato in prima persona da Eric Schmidt, direttore esecutivo di Google,
per aprire un confronto e un dibattito con giuristi, esperti del settore e
giornalisti sulla questione di base, ormai insanabilmente aperta ma
fondamentale per la sopravvivenza stessa dell’azienda statunitense, di come
raggiungere un equilibrio tra diritto all’oblio e diritto all’informazione
sul web. Il tutto nell’attesa che l’ Article 29 Working Party, l’organismo centrale che
raccoglie tutti i Garanti europei (la questione è esclusivamente europea,
lo ricordiamo, essendo nata da un ricorso di un cittadino spagnolo alla
Corte di giustizia europea) mettesse nero su bianco le linee guida di
comportamento per le singole Autorità nazionali chiamate a seguire e a
gestire in futuro i singoli ricorsi. A completare il quadro della
situazione, si deve aggiungere che il comitato di lavoro citato, in vista
della decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha dovuto
esaminare e dare pareri su come “Il responsabile dei dati” (nel nostro caso
Google ) deve cooperare con l’Autorità nazionale che sovrintende il diritto
alla protezione dei dati personali dei cittadini. Tutto questo al servizio
del diritto fondamentale riconosciuto dall’articolo 8 del Trattato
dell’Unione Europea che stabilisce che “Ogni persona ha diritto alla
protezione dei dati di carattere personale che la riguardano, che tali dati
devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità
determinate e in base al consenso della persona interessata (…) e
ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e
di ottenerne la rettifica”. Per garantire l’esercizio di tali diritti, il
trattato prevedeva il “controllo di un’autorità indipendente “, vale a dire
le Agenzie o le Autorità nazionali attualmente esistenti per la protezione
dei dati personali dei cittadini.
Veniamo ora agli ultimi sviluppi e vediamo quali sono, a nostro avviso, le
novità più rilevanti riportate in queste nuove direttive.
Bisogna innanzitutto ricordare che il diritto alla cancellazione dei propri
dati non abbraccia totalmente il web. Non riguarda infatti i motori di
ricerca interni alle pagine di un sito e soprattutto gli archivi on line
dei quotidiani.
E ancora, per quanto riguarda l’area geografica di applicazione, sebbene la
sentenza chiami in causa esclusivamente gli operatori del vecchio
continente, ciò non significa che dovranno essere deindicizzati solo i nomi
con il dominio europeo (ad esempio: .eu; .it; .fr; ecc.), ma anche tutti i
domini generici, come .com, .net, .org e così via discorrendo. Una tale
decisione è più che ovvia: a nulla servirebbe cancellare un’informazione
dal dominio nazionale in cui il cittadino esegue la su ricerca, se vi si
può raggiungere in un altro dominio nazionale di Google, cambiando
semplicemente la lingua di ricerca.
Ma come possiamo chiedere la rimozione di un dato che ci riguarda e che non
vogliamo sia di pubblico dominio sul web? Lo strumento sicuramente più
idoneo, senza costi e che permette di evadere le richieste velocemente è il
ricorso ai moduli on line di richiesta che i motori di ricerca devono
mettere a disposizione dei naviganti. Ma l’Unione Europea consente ai
citaddini di chiederla nel modo che loro ritengano più adeguato. Ci sembra
che dietro a questa “baruffa formale”, ci sia un’interesse delle autorità
europee di non rsiaparmiare a Google le fatiche dei processi giudiziari.
Il nodo centrale della questione però a nostro avviso rimane irrisolto.
Come trovare infatti
il punto di equilibrio tra il diritto alla privacy con la cancellazione
dei dati indesiderati da parte dei singoli e il diritto della società a
sapere, vale a dire chi e con quali criteri può decidere che cosa è di
interesse pubblico in Internet
? Certamente non era competenza del Grupo di Lavoro pronunciarsi su tale
quesito. Per lo meno due cose sono chiare ora: Innanzitutto l’interessato
deve trattarsi di una persona fisica. Al nome sono equiparati lo pseudonimo
o il nickname, nei casi in cui consentano di risalire agevolmente
all’identità della persona. Punto fondamentale inoltre è che la
deindicizzazione deve essere favorita in tutti i casi in cui siano
coinvolti minori.
Certo, rispetto a prima abbiamo sicuramente maggiore chiarezza. Ma è anche
vero che manca ancora qualcosa dal punto di vista della trasparenza delle
regole del gioco. Come vengono indicizzate infatti le notizie da parte dei
motori di ricerca? Secondo quali criteri e interessi? Molte sono le
questioni ancora aperte. Da parte sua la Commissione invita “fortemente” i
motori di ricerca a pubblicare i propri criteri di indicizzazione e a
rendere disponibile statistiche più dettagliate. Detto senza mezzi termini,
Google deve essere più trasparente. Paradossalmente, questo motore di
ricerca nella sua causa contro l’autorità nazionale spagnola, che ha
ordinato la cancellazione delle informazioni obsolete, ingiuste e di non
necessaria pubblicazione di un cittadino, si appella proprio al diritto dei
cittadini all’informazione. Google ha desistito dal fare ricorso,
prevedendo di perdere la battaglia legale. Ora non vuole perdere nel campo
dell’opinione pubblica. Sarebbe molto più dannoso di vista economico.
* Efrén Díaz Díaz: Avvocato spagnolo dello studio legale “Mas y Calvet”,
specialista in Diritto Pubblico, Tecnologico e Geospaziale