sabato, Aprile 20 2024

I numeri sono davvero impressionanti. Secondo quanto rilevato da Statista.com, il portale di statistiche più accredito sul web, la Cina conta oggi quasi 1 miliardo di utenti presenti sui social network, pari a circa il 65% della popolazione totale, con un trend che è destinato a crescere di anno in anno. E’ importante subito sottolineare che i big del settore, come Facebook, YouTube e Twitter non c’entrano nulla con questa crescita. Il governo cinese infatti ha bloccato da tempo l’accesso nel paese ai social occidentali, rendendo possibile solo la presenza di quelli locali come WeChat e Sina Weibo, che attirano milioni di utenti, rendendo la Cina il più grande mercato di social media al mondo. Secondo quanto riscontrato dal report We Are Social, in media, ogni utente di Internet ha circa 7,4 account di social media in Cina.

Le piattaforme più popolari

Le piattaforme social cinesi sono davvero tante. WeChat è di gran lunga l’app social più diffusa nel Paese, utilizzata per qualsiasi cosa: mandare messaggi, fare telefonate, condividere foto e video, ma anche shopping e gaming online, oltre che news. Tuttavia, il panorama è piuttosto vario e dinamico. Esiste l’app di messaggistica istantanea Tencent QQ, il sito di microblogging Sina Weibo, l’app di condivisione video Youku Tudou, l’app di fotoritocco e condivisione Meitu, la piattaforma di consigli sui ristoranti e ordinazione di cibo Meituan. Tra tutti questi social ha avuto un enorme impatto internazionale l’app di video sharing Douyin, di cui esiste una versione internazionale usata ormai da tutti gli adolescenti occidentali. Stiamo parlando di TikTok.

Social network e governo cinese: uno studio svela una grande opera di censura del regime

Forse è banale scriverlo, ma è opportuno quanto meno ribadirlo. I social newtork in Cina non sono affatto liberi, come non lo sono gli utenti cinesi. Dietro i miliardi di interazioni quotidiane tra messaggi, telefonate e ricerche on line, esiste una forte censura politica intrapresa dal governo, per contrastare possibili azioni collettive considerate come eversive. Per raggiungere tale obiettivo, il governo cinese effettua un controllo continuo e metodico di tutti i flussi di informazione e di interazione che i cittadini intrattengono sui social.

Tre studiosi, Gary KingJennifer Pan e Margaret E. Roberts, hanno pubblicato qualche anno fa sulla rivista scientifica American Political Science Review uno studio che rivela l’esistenza di una task force segreta di agenti statali, appartenenti al cosiddetto 50c Party (così chiamato per il guadagno che percepirebbero gli impiegati), i quali avrebbero il compito di distogliere l’attenzione pubblica da argomenti scottanti per il governo e suscettibili di attivare forme di associazionismo dal basso. Nella più classica narrativa orwelliana, il lavoro di questi agenti governativi, consisterebbe nel creare dei contenuti sui social con dei post, con il preciso obiettivo di distrarre l’opinione pubblica da questioni sconvenienti per il governo e di promuovere l’unità nazionale e la stabilità politica del regime attraverso una continua pubblicità positiva delle azioni della leadership del Partito.

Ma in cosa consistono di preciso questi post? I ricercatori hanno suddiviso i contenuti in cinque categorie:

taunting of foreign countries”: post con paragoni favorevoli tra la Cina e altri Paesi stranieri, solitamente occidentali;

– “non-argumentative praise and criticism”: post con elogi sui temi non controversi, come dibattiti sul debito pubblico o il welfare;

argumentative praise and criticism”: post con elogi su questioni controverse come determinate posizioni sui diritti umani;

factual reporting”: post con descrizioni dei programmi del governo, iniziative, eventi o piani della leadership;

 – “cheederleading, cioè espressioni di patriottismo, slogan, discussioni circa figure culturali o celebrazioni. La maggior parte del lavoro della task force 50c Party sembrerebbe essere concentrata nella diffusione di questi contenuti.

Tanto per dare alcuni numeri e far capire bene l’entità e l’importanza di questo enorme lavoro di censura e di distrazione di massa, lo studio sopra menzionato evidenzia l’esistenza di ben 448 milioni di post pubblicati sui canali socialcinesi. Circa il 53% di questi è apparso sui siti del governo e i restanti 212 milioni su siti commerciali.

La strategia di comunicazione sui social occidentali

Oltre a questa colossale e invasiva opera di censura politica interna, la Cina starebbe utilizzando anche delle raffinate strategie di “inquinamento” comunicativo sui social network occidentali, come Facebook, Twitter e YouTube, per veicolare disinformazione e rafforzare la propaganda politica favorevole al regime.

Un studio più recente di alcuni ricercatori dell’Università di Oxford, ad esempio, ha documentato l’esistenza di quasi 30.000 account Twitter che hanno amplificato e celebrato negli ultimi anni i post del governo cinese o dei media filo-governativi, prima di essere sospesi dalla piattaforma per violazione delle regole che vietano la manipolazione. Stessa operazione anche su YouTube, con la cancellazione da parte di Google di quasi 10.000 canali per aver intrapreso “operazioni di influenza coordinate e legate alla Cina”. Secondo un’inchiesta del “The New York Times”, il governo cinese avrebbe deliberatamente “inondato” le piattaforme social occidentali con account falsi ma convinti e fervidi sostenitori del regime, per ripulire formalmente la propria immagine, compromessa dai sospetti internazionali di violazione dei diritti umani.

Oltre a questo utilizzo massiccio di finti profili, tra le varie tattiche di manipolazione vi sarebbe anche la ricerca di influencer di social media di lingua cinese con elevati seguiti internazionali, con il compito di elogiare la Cina come forma di accreditamento internazionale, per aver fornito, ad esempio, aiuti durante la pandemia di COVID-19, amplificando al contempo le critiche all’Unione Europea per non aver fatto lo stesso.

Insomma, diversi studi ci raccontano l’esistenza in questi anni di una vera e propria raffinata opera non solo di censura, ma anche di alterazione e manipolazione dell’opinione pubblica interna e internazionale, in particolare sui social network occidentali, da parte di agenti del governo cinese per nascondere questioni sconvenienti e bloccare sul nascere qualsiasi iniziativa di protesta, oltre a campagne di disinformazione e fake news per ripulire la propria immagine. La Storia ci dirà quanto saranno state efficaci o meno queste strategie di propaganda, e quanta forza avranno i sogni degli uomini nel rompere muri e valicare con ali leggere i confini della libertà. Anche sul web.

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