giovedì, Marzo 28 2024

Halloween è passato. Ma diciamo che, ormai, a parte la ricorrenza, l’horror
è diventato onnipresente. E considerando la crescita esponenziale
dell’offerta a livello di cinema, di serie tv, per non parlare delle
narrazioni dei videogiochi, si rileva quanto sia notevolmente aumentato,
negli ultimi anni, il numero delle persone, soprattutto teenagers, che è
sempre più attratta e ‘consuma’ prodotti horror.

Cosa ci attrae nei film horror

Quando un film horror raggiunge le sue scene più drammatiche, la maggior
parte delle persone si irrigidisce, magari qualcuno comincia a sudare.
Eppure chi sceglie di guardare quelle scene dice di averlo fatto per
‘divertirsi’, perché ‘è bello’.

Ma se l’orrore mette in campo la paura e i sentimenti di disgusto e
repulsione del soggetto, come fa a piacere?

In generale le persone tendono a evitare ciò che è spiacevole, quindi,
ancora di più, ciò che normalmente risulta repellente. Ci troviamo allora
di fronte a un paradosso? Perché il pubblico è attratto, e trae piacere,
dall’esporsi volontariamente da qualcosa che provoca disgusto? Noel Carroll
nel suo testo The Philosophy oh Horror or Paradoxes of the Heart,
partendo dalla medesima domanda, propone una riflessione. Secondo Carroll,
c’è un ‘piacere cognitivo’ nel confrontarsi in tutta
sicurezza con l’ignoto e l’aberrante, che

esercita il suo fascino quando viene depotenziato dalla sua
pericolosità.

Quindi la condizione essenziale per poterne fruire in modo ‘piacevole’, è
di avere la assoluta percezione della distanza e differenza tra la
finzione, rappresentata, e la realtà. Sarebbe improprio, quindi,
considerare il deforme e il brutto assolutamente contrario al piacere della
visione; secondo alcuni esso riproporrebbe, infatti, in un contesto seppure
diverso, la questione aristotelica del perché nell’arte ciò che è
ripugnante, come cadaveri o mostri, generi una sorta di soddisfazione in
chi la contempla. E’così che il brutto, dal Settecento ( Ghotic novel), si è fatto espressivo, diventando quasi valore
estetico e non anti-estetico; un brutto che non è più, quindi, in
contrapposizione col bello. Il brutto avrebbe in comune con il bello,
secondo questo filone di interpretazione, un sorta di piacere interiore che
agisce proporzionalmente alla distanza che la finzione interpone tra
spettatore e rappresentazione, in grado di esercitare una certa catarsi.

Tra le motivazioni della scelta del genere molti fanno riferimento al
potere di esorcizzare la paura, al punto da non sentirne più gli effetti e
il peso. In sostanza, lo si preferisce per non avere più paura di aver
paura.

Ma rimuovere le ragioni profonde della paura, è veramente utile? Se gli
orrori non ci spaventano più, e ci si abitua a percepire il proprio corpo
‘disincarnato’ dalle proprie ansie, e quello altrui, quello rappresentato,
disincarnato dal dolore e dall’orrore di sangue, ferite, decapitazioni,
ecc., cosa diventa il corpo?

Le rappresentazioni del deforme, il decadimento, i volti deturpati o
ricoperti di sangue, vengono scelte e preferite perché realizzano una sorta
di emersione del nascosto, del tabù, nel tentativo di liberarcene, ma in
realtà, infrangendo l’idea di purezza, non finiscono forse proprio per
sacrificare l’idea stessa del corpo, intesa come unità e sintesi,
riducendolo a mera composizione di parti. Disincarnare il corpo non
significa svuotarlo di tutta la sua essenza?

I film horror nella storia del cinema

Alcuni film horror sono diventati importanti pilastri della storia del
cinema, partendo da Shining, Paranormal activity, solo
per citarne alcuni; film che alla loro uscita portarono un vero senso di
terrore nella vita di tanti spettatori per più diverso tempo. Nonostante
questi film siano fonte di piacere appena visti, col tempo il loro ricordo
diventa disturbante, almeno secondo studi di alcuni anni fa. Stuart Fischoff, professore dell’Università di psicologia
di Los Angeles nei suoi studi ha evidenziato che i film dell’orrore
emozionano, ma spesso possono lasciare uno stato nervoso e instabile che,
al di là della catarsi e la portata liberatoria di angosce e paure, resta
in alcuni sotto forma di brutti ricordi persistenti.

Horror e giovani

Oggi, i maggiori consumatori di horror sono soprattutto i giovani, e sta
crescendo la passione per il genere anche tra i bambini.

Con quali conseguenze?

Gli studi sugli effetti che determinati immagini e scene possono avere
sull’infanzia risalgono alla metà del ‘900. Negli anni 50 era infatti già
molto chiara la questione circa l’impatto emotivo di determinati
comportamenti sui minori. Albert Bandura ha introdotto la teoria
dell’apprendimento sociale per parlare per la prima volta dell’interazione
tra la mente del bambino e l’ambiente in cui si trova e di quanto i bambini
imparino grazie alla osservazione e imitazione e all’ambiente sociale.
Bandura ha studiato, in particolare, la reazione rispetto alla esposizione
di comportamenti violenti e aggressivi.

I risultati delle sue ricerche hanno rilevato che

la maggior parte dei bambini esposti al modello aggressivo risultavano
più inclini a comportarsi in modo aggressivo

rispetto ai bambini che invece non avevano assistito ad un tale tipo di
comportamento. L’incidenza risultava ancora maggiore nei casi in cui il
comportamento aggressivo e violento avesse avuto una qualche sorta di
rinforzo positivo, si fosse in qualche modo dimostrato il modello vincente.

Quindi, un bambino può guardare un horror, e se lo fa, che cosa succede?

I ragazzi, giovanissimi, 10, 11 anni, attratti da questo genere sono alla
ricerca di emozioni forti, a tanti di loro piace quella sensazione di
spavento e paura. Usano la visione di scene horror anche per mettersi alla
prova, quasi come se fosse una sorta di test per misurare coraggio e
resistenza. Sono affascinati dal suspense, dal mistero, ma vengono
esposti a scene di aggressività e violenza estrema, crude e terribili nelle
quali spesso è il macabro che vince. Tutto questo può sia portare a
generare ansia e difficoltà, angoscia, soprattutto quando non si riesce ad
operare una separazione netta tra finzione e realtà; sia anche, seguendo
Bandura, per esempio, una imitazione, o almeno una possibile tendenza a
farlo.

Per questo,

l’invito ai genitori e agli adulti di riferimento è quello innanzitutto
di considerare l’impatto emotivo di alcune immagini e scene

, e quindi, proporsi come mediatori nella fruizione di certi contenuti.
Potrebbe non servire ad evitarne tutte le conseguenze, ma aiuterà comunque
a creare una occasione di confronto e condivisione, utile anche, magari, a
discutere della possibilità di scegliere anche altri tipi di narrazioni
alla ricerca di nuove emozioni.

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