sabato, Dicembre 14 2024

Sin dalla creazione dell’uomo e della donna, gli esseri umani desiderano trovare la felicità: quella condizione che acquisisce una persona che è “pienamente soddisfatta”, con sé stessa e con il mondo circostante, nonostante i suoi problemi, le sue fragilità, il proprio dolore e quello di coloro che hanno accanto…

Questa ricerca incessante spesso porta nei posti sbagliati. Quante volte incontriamo persone che, pur avendo tutto – soldi, lavoro, salute, beni materiali – si sentono vuote dentro?

Aristotele lo diceva già nel III secolo a.C. “L’uomo felice vive bene e lavora bene”. Perché la beatitudine si poggia sulla virtù e si volge al bene.

Victor Frankl, lo psichiatra austriaco che ha vissuto nel campo di sterminio di Auschwitz, scrisse della felicità nella sua opera “Man in Search of Meaning”. Scoprì, vivendo lì, che gli uomini che avevano uno scopo nella vita sopravvivevano più a lungo in quella prigione degli orrori.

Negli ultimi decenni, molti ricercatori hanno tentato di quantificare la felicità. Uno di questi è Matthew Killingsworth, un americano che ha fatto il suo dottorato di ricerca ad Harvard su questo argomento nel 2009.

Insieme al suo mentore, ha ideato l’app “Track your happiness” (“Traccia la tua felicità”) con l’intenzione di monitorare un gran numero di persone, in diversi momenti della giornata, sullo stato della loro felicità.

Il progetto era ambizioso: mai prima di allora è stato possibile valutare un campione così elevato, che rispondeva in situ su ciò che stava provando. Tutto quello che i candidati dovevano fare era scaricare l’applicazione sullo smartphone (un’applicazione adatta solo per iPhone).
Da quel momento avrebbero automaticamente iniziato a ricevere notifiche a mo’ di sondaggio in momenti diversi.

Ogni notifica, era infatti una domanda del sondaggio: prima di tutto sulla situazione in cui si trovava la persona, per poi continuare con le domande su cosa stava succedendo, su dove era la persona e come si sentiva in quel preciso momento.

Ogni 50 risposte l’app generava un rapporto sulla felicità che era molto utile per l’individuo. In esso si fornivano, infatti, informazioni preziose in modo tale da poter correggere gli elementi che lo avevano tenuto lontano dallo stato di benessere.

Un’app che migliora la salute mentale

È stato provato attraverso diversi studi che l’uso degli schermi è correlato a un peggioramento della salute mentale delle persone. Tuttavia, si possono riconoscere le buone intenzioni del dottorando e affermare che un buon uso di essi può anche aiutare a migliorarlo.

Killingsworth giunge alle seguenti conclusioni:

1. Paradossalmente, condizioni enormemente migliori della vita umana – case più grandi, tecnologia più potente, cure mediche migliori – hanno ottenuto solo modesti miglioramenti nella felicità.

2. Fattori come l’esercizio fisico, la meditazione, il volontariato, una buona igiene del sonno, una dieta equilibrata, … incidono più positivamente.

3. I colpi della vita intaccano direttamente la felicità: perdita del lavoro, morte di un familiare o di un amico, malattia…

4. Essere in contatto con le persone ci predispone alla nostra piena realizzazione. Poter contare su qualcuno e, soprattutto, sentirsi curati.

5. La mente errante è una mente infelice:

a. Ricordiamo male il nostro passato. Tendiamo a concentrarci sul negativo.

b. Fuggiamo verso il futuro, sognando qualcosa di meglio di quello che abbiamo.

6. La chiave della felicità è vivere nel momento ed essere nell’oggi: qui ed ora.

E l’app funziona quando si è depressi?

Track your happiness può essere utile per le persone che hanno una “felicità variabile”, ma a patto che l’umore non sia gravemente compromesso, come nel caso in cui si abbia un problema di salute mentale.

Per un individuo con malattia mentale, come un grave quadro depressivo, non accade lo stesso. Non dobbiamo dimenticare che questo male è caratterizzato da apatia (mancanza di motivazione) e anedonia (mancanza di piacere). Le persone depresse non hanno il coraggio di rispondere ai sondaggi. Inoltre, si tratta di malati che hanno bisogno di circondarsi di persone, non di essere isolati col proprio cellulare.

C’è ancora molto stigma intorno a coloro che soffrono di depressione. Chiaramente non hai compreso questa particolare condizione se pensi che la malattia migliori attraverso un’app.

Ad ogni modo, si può essere felici indipendentemente dalle circostanze avverse che si stanno attraversando.

Per questo, sarà necessario che sia i malati che i sani imparino a identificare il proprio scopo nella vita, come sostiene Frankl, che non può essere riempirsi di cose materiali e vivere nell’egoismo, ma svuotarsi di sé nell’abbandono al prossimo e a Dio, mettendo al suo servizio i talenti ricevuti.

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