sabato, Aprile 27 2024

“Lotterò fino al mio ultimo respiro affinché le donne possano scegliere se essere madri o meno: la contraccezione e il diritto all’aborto sono un diritto fondamentale, la matrice della libertà delle donne”, sono parole nientedimeno di Annie Ernaux, la scrittrice che ha ricevuto l’ultimo Premio Nobel (2022) per la letteratura. Non un’opinione tra le altre, ma di una donna che ha ricevuto un riconoscimento di prestigio internazionale: ciò rivela in quale direzione stia andando la nostra cultura.

Anche nel piccolo, non è raro assistere a forti manifestazioni pro-aborto, pro-pillola abortiva e contro gli obiettori di coscienza. Si vedono ospedali tappezzati di foto e manifesti, proteste, striscioni. Tali rimostranze si sono moltiplicati, tra l’altro, dopo l’abrogazione negli Stati Uniti della storica sentenza «Roe vs. Wade» di un presunto diritto all’aborto”. E dico “presunto” perché la sentenza che introdusse nel 1973 la depenalizzazione dell’aborto non aveva riconosciuto un diritto all’aborto, bensì aveva stabilito che “lo Stato non è legittimato a decidere sulla privacy delle donne”. In fin dei conti il ragionamento giuridico dava copertura legale a una pratica sociale molto diffusa all’epoca e moltiplicata poi in seguito. Si sa che il costume fa legge e la legge indirizza il costume. La Corte attuale ha stabilito che non si trova fondamento costituzionale al presunto “diritto all’aborto” e quindi un tale diritto, per esserlo, deve essere stabilito dalle leggi, quindi dalle camere legislative non dai tribunali.

Di fronte a tanto fervore pro-choice si può essere intimoriti, si può faticare a farsi ascoltare, qualora si avesse qualcosa di diverso da dire rispetto al pensiero dominante. Perciò, nel presente articolo, vorrei proporre alcuni consigli per parlare a favore della vita sin dal concepimento, in un clima rovente e talvolta anche ostile.

  1. Partire da fatti concreti e verificabili, più che da idee personali o concetti. Ad esempio, qualche giorno fa, stavo cercando dei dati su Google. Ho scritto la frase “Mi sono pentita di aver” e la quinta parola che Google stesso mi suggeriva era “abortito”.

Ho cliccato la frase completa. Il primo sito a cui venivo mandata era un forum femminile. Una donna scriveva: “Sono passati 3 giorni da quel venerdì in cui presi la seconda dose di pillole… e che dire… mi sento vuota, non sto bene con me stessa, non dovevo farlo… potessi tornare indietro non lo farei mai e poi mai…

Le altre dicevano di capirla: avevano vissuto anche loro uno stato di lutto e di rimpianti. Al tempo stesso la consolavano: “Se era immaturo, se ti tradiva, se non era l’uomo giusto… hai fatto bene”.

Senza imporre una visione delle cose, un simile dato ci dà lo spazio per una semplice riflessione: siamo sicuri che le donne sono sempre libere di abortire, o a volte agiscono prese dal panico? Siamo sicure che il problema siano i figli inattesi e non le “relazioni sbagliate” in cui tante donne finiscono? Se il problema sta nella relazione, perché invece di batterci fino all’ultimo respiro per il diritto all’aborto non ci battiamo fino all’ultimo respiro perché le donne sappiano di meritare maturità e rispetto da un uomo, così da non doversi proprio trovare a scegliere qualcosa che procurerà loro dolore e rimpianto?

  1. Raccontare il dolore di quelle mamme che i bambini li hanno persi in modo spontaneo. Se l’aborto lo hai “subito” e non scelto, non è politicamente scorretto parlarne (in un tempo in cui si esalta fino agli estremi il sentimento, una donna che soffre per la perdita involontaria di un figlio non può essere messa a tacere). Qualche giorno fa ho iniziato un dibattito su Instagram con un ragazzo che attaccava una pagina pro-life (Lo so, non si dovrebbe, ma a volte cedo a questa debolezza). Ho provato a offrire la mia “idea”, in modo pacato, ma subito sono stata attaccata. Quando ho detto: “So di cosa parlo, un aborto io l’ho vissuto” (ho infatti perso un figlio in grembo) i toni si sono magicamente calmati e sono riuscita a farmi ascoltare. Il mio dolore, la mia esperienza mi hanno rivestita di “autorità”. Io e il mio interlocutore da quel momento ci siamo parlati cordialmente. Lui, a un certo punto, mi ha perfino raccontato del lutto prenatale di sua madre, che aveva vissuto la mia stessa esperienza… E mi ha detto di chiamare “sorellina” quell’esserino vissuto troppo poco…
  1. Proporre ricerche e dati sul lutto perinatale e prenatale. La scienza e la psicologia sanno quale grande dolore procura spezzare il legame madre-figlio in grembo. Parlando di aborto spontaneo o di nascita di feti morti, la Dott.ssa Valentina Scarselli (con una formazione specifica in ambito sessuologico e un dottorato di ricerca in medicina della riproduzione), dice senza fronzoli che tale rottura del legame madre-figlio è “una situazione traumatica”. “Ogni gravidanza, indipendentemente dalla sua durata e dal suo esito, è parte integrante nella storia di vita della madre e della coppia genitoriale e ogni bambino, a qualunque settimana di vita, ha una sua importanza indiscutibile.”

Poi spiega quali sono le emozioni più frequenti: senso di colpa e vergogna. Inoltre, “Le madri non vivono solo l’esperienza del lutto ma anche una profonda ferita esistenziale”.

  1. Proporre alcuni libri, ad esempio in lingua italiana: “Le madri interrotte. Affrontare e trasformare il dolore di un lutto pre e perinatale”, di Laura Bulleri e Antonella De Marco, Franco Angeli Editore, 2013. Conoscere la diversa letteratura sul tema può favorire un dialogo.
  1. Parlare di uomini o donne (medici, operatori sanitari) che l’aborto l’hanno visto e praticato con i propri occhi e le proprie mani.
  1. Infine, una riflessione sul femminismo e sulla libertà delle donne, a partire da storie vere. Un esempio? Tempo fa ho ascoltato una donna, Stefania, che di fronte alla possibilità di una gravidanza inattesa ha vissuto la situazione più dolorosa della sua vita: il fidanzato ha iniziato a bombardarla dicendole di prendere la pillola del giorno dopo. L’ha minacciata, perfino: “Se sei incinta, ti dirò ogni giorno che questo figlio non lo voglio, ti convincerò ad abortire. E se non lo farai, ti lascerò”. Stefania da quel giorno afferma: “Pochi sanno quanto una donna si senta sola e ingabbiata in certi momenti. Ho pensato di abortire, lo ammetto, ma mi sentivo tutt’altro che libera, con Tiziano che mi urlava addosso”.

Stefania, alla fine, non si è rivelata incinta. Ma quell’episodio l’ha svegliata: stava dando la sua vita ad un uomo che in un attimo avrebbe buttato via tutto, lei, un possibile figlio, il futuro insieme.

La sua testimonianza: “I figli si fanno in due! Trovate un uomo veramente responsabile. Perché il primo diritto di una donna di fronte alla possibilità di una nuova vita è quello di non essere sola… La vera matrice della libertà è essere amate, sapere che hai accanto qualcuno che resterà con te qualunque cosa accada”.

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