giovedì, Giugno 1 2023

L’eutanasia sta diventando una scelta legale sempre più diffusa nel mondo
occidentale. Ormai l’ex governo olandese, guidato dal liberale Mark Rutte
fino a prima delle dimissioni, ha allargato l’accesso all’eutanasia a
pazienti terminali da uno a 12 anni, con l’accordo dei genitori. In Nuova
Zelanda, invece, il 65% degli elettori si è espresso a favore
dell’eutanasia lo scorso ottobre. In Svizzera la pratica è presente da
diverso tempo e può costare fino a 10mila euro.

La legislazione dei diversi Paesi del mondo ci mostra uno spaccato
culturale differente e la riflessione si complica ulteriormente quando
parliamo di minori. Il ministro olandese della Salute, Hugo de Jonge,
membro del partito cosiddetto d’ispirazione cristiana, “Appello
Cristiano-Democratico”, ha annunciato lo scorso autunno che l’accordo per
estendere anche ai bambini fino a 12 anni la legge sull’eutanasia era stato
trovato. Alla base della scelta, uno studio sulla sofferenza dei bambini
secondo il quale «c’è bisogno di un’interruzione di vita intenzionale»
decisa d’intesa «tra medici e genitori» per aiutare «un piccolo gruppo di
bambini malati terminali che soffrono senza speranza e in modo
insopportabile». La stima del ministro è di un numero di casi tra i 5 e i
10 all’anno: il noto metodo dei “casi eccezionali e circoscritti”.

In Olanda la legge sull’eutanasia è in vigore dal 2002 mentre in Nuova
Zelanda lo è dal referendum del 17 ottobre 2020 col quale i cittadini hanno
anche riconfermato la premier laburista Jacinda Ardern. La legislazione era
stata già approvata in Parlamento l’anno prima, ma il governo ha atteso che
il popolo si esprimesse per rendere la legge in vigore. Secondo la nuova
legge, un adulto sano di mente affetto da una malattia incurabile che
potrebbe causargli la morte entro sei mesi, e la cui sofferenza è
“insopportabile”, può richiedere una dose di farmaco letale. La richiesta
deve essere firmata dal medico del paziente e da uno indipendente, con il
consenso dello psichiatra qualora ci fossero dubbi sulla capacità di
prendere la decisione. Il ministro della Giustizia, Andrew Little, ha
annunciato che la legge entrerà in vigore nel novembre 2021.

Poco più di anno fa, anche la Spagna, con 210 voti a favore, 140 contro e 2
astensioni, ha approvato l’introduzione del progetto di legge
sull’eutanasia del PSOE (Partito socialista spagnolo).

In un’intervista televisiva dello scorso marzo al più grande esperto
spagnolo di cure palliative, l’anestesista Marcos Gómez Sancho, fra l’altro
ex presidente de la Sociedad Española de Cuidados Paliativos (Secpal),
aveva asserito come su 25mila pazienti trattati nella sua lunga vita
professionale, solo 3 o 4 gli avevano espressamente richiesto l’uso
dell’eutanasia dopo aver iniziato il ciclo di cure palliative.

«Quando i pazienti arrivano, afflitti dai dolori di un tumore al pancreas o
di altra natura, normalmente chiedono di poter morire. Dopo la prima
puntura di morfina, questa richiesta scompare. Se si iniziano le cure
palliative, la richiesta non torna più se non in casi rarissimi: tre o
quattro, sulle 25 mila persone che ho trattato in ventotto anni. Il
problema in Spagna è che ci sono troppo poche cure palliative: 120 mila
pazienti all’anno ne hanno bisogno, ma solo la metà le ricevono. Non si
investe nelle cure palliative perché non è cosa brillante, come lo sono i
trapianti. È uno scandalo che si approvi una legge per mettere fine alla
vita dei malati». Questa posizione metterebbe in luce un fatto importante:

la gente decide di voler morire per troppa sofferenza fisica e mentale.

Ma se questa sofferenza non vi fosse? Probabilmente le richieste
calerebbero, o almeno è ciò che indicano i dati a medio-lungo termine.

Inguaribile è sinonimo di incurabile?

Nel 2019 in Olanda sono morte per eutanasia 6.361 persone, pari al 4% dei
decessi: nel 91% erano pazienti considerati terminali, mentre i restanti
casi relativi a persone affette da gravi disturbi psichici, come la
depressione.

Per identificare i bambini che hanno “diritto di morire” vanno soddisfatte
alcune condizioni: “nessuna prospettiva di guarigione e sofferenza
intollerabile” sono concetti generici e da interpretare. In Belgio
l’eutanasia dei bambini è permessa dalla legge, con due casi di morte
procurata a piccoli di 9 e 11 anni nel 2016 e 2017, mentre in Svizzera è
concesso il suicidio assistito, una pratica nella quale i medici
accompagnano il soggetto fino all’assunzione di un farmaco che prima li
addormenta profondamente e poi, mezz’ora dopo e nella totale incoscienza,
procura loro un arresto cardiaco.

Lo scorso settembre la Congregazione per la Dottrina della Fede nella sua
lettera Samaritanus Bonus, dedicata alla «cura delle persone nelle
fasi critiche e terminali della vita», ha espresso senza mezzi termini
l’immoralità dell’eutanasia. La Chiesa ritiene di dover ribadire come
insegnamento definitivo che l’eutanasia è un crimine contro la vita umana
perché, con tale atto, l’uomo sceglie di causare direttamente la morte di
un altro essere umano innocente. (…) L’eutanasia è un atto
intrinsecamente malvagio, in qualsiasi occasione o circostanza».

Ci si appella a quello che è il suo ordinamento canonico, un insieme di
norme giuridiche formulate dalla Chiesa; questa accomuna la vita stessa come un “valore irrinunciabile” e
l’intenzione di porvi fine, al di là della motivazione che spinge la
persona a ponderare un simile gesto, è assolutamente deprecabile e
manifestata nella negazione di svolgere il rito funebre a coloro che fanno
ricorso all’eutanasia o al suicidio assistito.

Benché siano ormai diversi i Paesi che tentano di regolamentare la “buona
morte”, nessuno – o quasi nessuno – di essi lo fa per una questione
eugenetica. L’eugenetica “indica tutto un insieme di teorie e pratiche
miranti a migliorare la qualità genetica di una certa popolazione”, che in
questo frangente può però assumere l’aspetto di mezzo totalitario, come in
passato applicato dai nazisti (sterilizzazione di massa a “razze” non
ariane, od a chi semplicemente era considerato come inferiore e promotore
di una vita priva di valore).

Si ritorna dunque al punto iniziale e cruciale della questione ma che vede
più e diversificati snodi nella sua soluzione: morire può essere una scelta
libera? Come può una persona pensare di avere una visione chiara e completa
a riguardo?

La sofferenza in sé, soprattutto se intensa, è un’esperienza intima,
personale e per ciò assai soggettiva. Quantificare un malessere in termini
teorici è impossibile tanto quanto il cercare di spiegarla in termini
giuridici. Il “giustificare” dunque la scelta di un singolo che vuole liberarsene con un’azione tanto drastica ed ineluttabile, è al
contempo un rischio: la libertà di decidere per sé stessi non andrebbe
intaccata, ma quanto di raziocinio vi rimane nell’individuo se
costantemente messo sotto pressione dalla sofferenza che l’ha indotto a
ponderare una simile decisione? Quanto di raziocinio vi dev’essere nella
persona, nell’istituzione, incaricata a permettere che un simile fatto
infine accada?

La condanna morale posta dalla Chiesa nella lettera Samaritanus Bonus è molto sensata: condannare chi non si adopera a
riservare agli ammalati le giuste cure, il giusto sostegno, la giusta
dignità.

Il “giusto” è forse l’unico percorso che andrebbe percorso in quanto
persona: perché la vita è sacra, unica, lottare per essa è un diritto
inderogabile. Vi è però anche il dovere di fare il possibile affinché il
diritto dell’uomo non venga alterato per cause esterne alla sua decisione.

Come dice il professore Marcos Gómez Sancho diamo prima a tutti, in tutto
il mondo, la possibilità di curarsi e andare avanti con le cure palliative.
Queste, accompagnate dall’amore e dal calore di medici, amici, ma
soprattutto della famiglia, possono porre il paziente in uno stadio almeno
di indecisione, di riflessione, perché non in preda a ogni tipo di dolore.

L’eutanasia non dev’essere una conseguenza dell’inadempienza medica e
sociale; non dev’essere l’unica soluzione attuabile per il malato perché
portato in un perpetuo declino fisico e psichico. Non si dev’essere
“costretti” a ponderarla perché le soluzioni palliative non si rivelano
adeguatamente congeniali.

Come detto prima: vi è il diritto di vivere. Di vivere una vita dignitosa.

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