giovedì, Aprile 18 2024

Tutti noi, quando veniamo assistiti da un medico, ci aspettiamo
professionalità e competenza. È normale, gli affidiamo qualcosa di molto
prezioso: la nostra salute.

E un bravo dottore, credo saremo tutti d’accordo, è quello che riconosce
una malattia e mette in atto la cura più adatta per contrastarla. Ma se vi
dicessi che il

buon medico, oggi, è anche colui che riconosce tempestivamente
una malattia per poter così sopprimere il prima possibile colui che ne
è affetto

? Cosa pensereste? Forse che sono matta. E invece, purtroppo, sto solo
descrivendo la realtà.

Mi riferisco alle diagnosi prenatali.

Essendo mamma so cosa accade dentro agli ambulatori quando aspetti un
figlio. All’inizio di tutte le mie gravidanze mi è stato proposto di fare
la diagnosi prenatale. Ogni volta ho risposto serenamente che poteva
interessarmi solo nella misura in cui non ci fossero stati rischi per il piccolo e se si
prevedeva una qualche possibilità di cura già in grembo.

Poi, ho specificato che l’avrei fatto, eventualmente, solo per preparami meglio ad accogliere una vita con delle esigenze
speciali.

Ebbene, mi è sempre stato risposto che,

per il tipo di malformazioni che si riscontrano con quegli esami non ci
sono cure e che “se una donna pensa di tenere il bambino in ogni caso,
non ha senso spendere centinaia di euro”

(diciamolo: quindi sfruttando risorse della sanità che potrebbero essere
usate da altre donne, con altre intenzioni…).

Ma soprattutto, se si è disposti ad accogliere un figlio in ogni caso,

non ha senso rischiare di perdere il bambino per vedere se è sano
(perché sì, fino a due anni fa, gli esami erano invasivi e in casi
rarissimi potevano procurare aborti!)

.

Insomma, data la mia posizione a favore della vita a 360°, mi è sempre
stata sconsigliata.



La diagnosi prenatale “serve” se uno vuole un figlio sano, ad ogni
costo.

Tuttavia, la nostra cultura ci sta abituando a un rispetto sempre più
parziale per la vita e moltissime coppie scelgono di sottoporsi a questi
esami. (“Sì, costano molto… ma ti fanno capire tutto, pure se è down. Vale
la pena spenderceli…”, parole dell’operaio che è venuto a lavorare in casa
mia, qualche mese fa, in attesa del secondo figlio).

Sì,

vale la pena, secondo quella mentalità, spendere 600, 800, 1200 euro
per assicurarsi un figlio sano e, in caso contrario, rifiutarlo

.

Come se poi la salute e la malattia, la vita e la morte fossero cose che
appartengono al nostro potere, come se noi esseri umani non fossimo fragili
e non potessimo ammalarci o morire in qualsiasi altro momento, pur nascendo
sani…

Quando l’eugenetica sembra essere quasi scontata.

In questo

articolo dell’ANSA

, potete leggere

lo sdegno nei confronti di un ginecologo che non è stato capace di
riconoscere le malformazioni di un bimbo nel grembo materno

.

Dietro a queste poche righe sembra di intravedere un frame molto diffuso e
condiviso, un modo di inquadrare il problema, che lascia intendere proprio
questo: il medico ha il dovere di scorgere determinati problemi, non tanto
perché si possa fare qualcosa per il piccolo, ma perché è scontato, in
questi casi, o almeno altamente consigliato l’aborto.

Probabilmente, il dottore, con gli studi che aveva alle spalle e gli
strumenti che oggi ci sono a disposizione,

poteva, anzi, forse doveva individuare i problemi del piccolo

. Non è mia intenzione assolverlo sul piano medico, se davvero si è
trattato di incompetenza.

Ma dall’articolo si evince che la colpa, se questo bambino è nato così, è solo sua:
d’altronde, chi accetta più l’imperfezione?

E allora, si capisce perché tanto scalpore, anche se non è stato lui a causare il danno,
anche se non si sarebbe potuti intervenire per aiutare il bambino.
Si capisce perché tanta rabbia verso di lui, di fronte a un evento
ineluttabile.


Perché il genitore ha diritto a rifiutare un figlio non sano.

Il vero motivo di scandalo – talmente scontato, che non merita neppure di
essere specificato – è che i genitori – sapendolo prima – avrebbero potuto ricorrere all’“aborto terapeutico” come
tutti gli altri genitori nel loro paese (che poi, non capisco ancora perché
si definisca così, visto che una terapia cura, mentre l’aborto no, mai…).

Senza dubbio, come si legge nell’articolo,

per un genitore è un duro colpo scoprire una realtà simile solo al
momento del parto

. Ed è per questo che mi sono sempre resa disponibile a

conoscere la verità prima della nascita (se ciò non avrebbe compresso
la vita del piccolo)

, ma la cosa non interessa al sistema sanitario che punta alla “praticità”.

Insomma, i genitori dovevano saperlo prima non per prepararsi (visto che
questo non conta), ma per decidere cosa fare di quella vita.


Se lo sdegno più grande lo crea questa cultura di morte

Ciò che colpisce, però (o almeno che colpisce me) è che non si dice nulla
in merito alle cure. Non si dice che, pur scoprendolo prima, non c’era
nulla da fare! Che quel bambino sarebbe stato così, con o senza la corretta
diagnosi fatta mesi prima. Non sembra interessare, questo. Si deve solo
trovare un colpevole, perché quel bambino non doveva esserci.

Non sembra essere contemplata l’idea che la vita sia vita, e può essere
accolta, sempre, in ogni caso.

No, quel bambino è solo un problema: perché una volta nato, non si può più
“sopprimere”.

E

vorreste forse acquistare una scarpa sgualcita? Una bici con i pedali
rotti, un giubbotto senza bottoni? No, ovviamente. Allora perché
dovreste essere costretti – dall’inefficienza di un medico – ad
accettare un bambino non sano?


Denunciare lui è un po’ come dire: “Ho diritto a un figlio sano e tu,
dottore, non mi hai risparmiato questa truffa”. Come se il medico fosse
un venditore, che deve assicurare un prodotto in ottimo stato.

Questo medico ha suscitato sdegno in molti. Ma, sono sincera, a me

lo sdegno viene di più se penso che nessuno ha speso una parola di
compassione per questa fragile vita, segnata dal mistero del male

, che non si lascia intendere come quel bambino, indipendentemente da come
si presenta, è un miracolo, un prodigio… un essere umano!

Un

essere umano che come ognuno di noi – fino al suo ultimo respiro –
merita rispetto, cura

.

Cosa possiamo imparare, invece?

Forse, errori medici come questi servono ad aprirci gli occhi, a scuoterci,
a ricordarci che la vita non è nelle nostre mani.

Quel bambino, nascendo così, ci ricorda che lui era lo stesso: prima di
nascere e dopo essere nato.

Ci ricorda che non basta spendere 600, 800, 1200 per assicurarci una vita
senza intoppi. Perché siamo fragili, fallibili. E solo quando impareremo ad
amare l’altro nella sua fragilità – invece di volerla eliminare ad ogni
costo – solo allora saremo veramente forti, solo allora ci saremo
“assicurati” l’unica cosa che conta davvero.

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