venerdì, Ottobre 4 2024

Se state cercando dei film per riflettere o avviare dibattiti su tematiche
riguardanti l’inizio vita, quelli che seguono probabilmente fanno al caso
vostro… tutti possono essere visti da un pubblico d’età maggiore ai 14
anni.

Unplanned
(di Chuck Konzelman e Cary Solomon, 2019)

Da otto anni Abby è la direttrice di una delle cliniche abortista
statunitense appartenenti a Planned Parenthood, un’istituzione
“sanitaria” statunitense nata per promuovere la “pianificazione familiare e
la tutela delle donne”, istituzione finanziata dal Governo americano che è
diventata nel tempo un business dell’aborto, ed `stata coinvolta negli
ultimi anni in scandali di vendita di tessuti embrionali di feti abortiti.

Eccellente nel suo lavoro, la donna ottiene vari riconoscimenti, tra cui
quello di “dipendente dell’anno”.


Convinta di “fare il bene delle donne”, mette a tacere gli scrupoli di
coscienza, che spesso la disturbano.

Le sue certezze sul fine umanitario dell’associazione cui
appartiene vengono a crollare il giorno in cui

il suo capo, Cheryl, espone agli altri membri il nuovo “obiettivo
aziendale”: raddoppiare il numero degli aborti

.

Abby, che crede di far parte di quella “macchina di morte” (come la
definirà dopo) per tutelare la salute delle donne (incentivando
l’educazione sessuale e non l’interruzione volontaria di gravidanza) scopre
che in realtà dietro all’aborto c’è un vero e proprio business. “C’è chi
vende auto, chi vende aborti – dice Cheryl, seccata per le domande pungenti
di Abby – è con l’aborto che ti pago le vacanze”.

Un giorno Abby

collabora materialmente all’aborto di un feto di 13 settimane, poiché
manca l’infermiera di turno: ciò che vede porterà Abby a rifiutare, una
volta per tutte, quel mondo


Lascerà il lavoro senza preavviso, affronterà cause in tribunale, sarà
insultata e odiata dai colleghi, ma nel cuore troverà una pace mai
trovata prima… e riuscirà anche a perdonarsi per aver abortito lei
stessa in passato.

Il film, che purtroppo non riesce a rendere la complessità della realtà
come fa invece il libro, di cui abbiamo già parlato (e che è stato anche
tradotto recentemente in italiano con il titolo di Scartati. La mia vita con l’aborto, ed.) può comunque favorire il
dibattito e la riflessione.

In mani sicure
(Jeanne Herry, 2018)

Una studentessa porta a termine una gravidanza indesiderata (frutto di una
relazione occasionale) e decide di dare il figlio in adozione. Di fronte
alla domanda dell’assistente sociale che le chiede: “Cosa vuole per suo
figlio?”, risponde:

“Voglio che sia felice, che lo affidino a chi lo amerà, che lo diano a
chi magari non ha potuto avere figli”

.

Un messaggio che, dato da una ragazza di soli 21 anni, decisa a “continuare
la sua vita senza quel bambino” riabilita con forza la possibilità
dell’adozione in un mondo che spesso pone ostacoli a questa opzione,
favorendo invece l’interruzione della gravidanza.

Interessante la frase di un’altra assistente sociale ad una coppia cui
viene rifiutata l’adozione:

“Il mio compito non è trovare un bambino a dei genitori che soffrono,
ma trovare i migliori genitori possibili per dei bambini in difficoltà”

, a indicare che un figlio non è un diritto, ma un essere umano prezioso da
custodire.

Lascia tuttavia perplessi

il finale del film, che sembra promuovere più l’adozione monoparentale
che l’adozione in sé e per sé.

Tutte le coppie candidate risultano infatti inadeguate: solo una donna
divorziata risulterà in grado di accudire questo bambino.

L’idea che sia importante per un figlio crescere con entrambe le figure
genitoriali non emerge affatto dalla narrazione del film: il che, forse,
rispecchia il sentire della nostra società, dove conta sempre più
l’individuo, non la coppia, vista come intrinsecamente precaria e soggetta
a facili fratture.

Se da un lato

il film è molto interessante perché mette in luce la possibilità reale
e concreta di non rifiutare una vita di cui non si può avere cura

(offrendo

spiegazioni su cosa prevede la legge e mostrando che esiste la garanzia
di anonimato della donna

), dall’altro la storia ci pone inesorabilmente davanti alla crisi che
l’istituzione famigliare sta attraversando… Emblematica l’ultima scena, in
cui madre e figlio si spogliano insieme e si coricano sul letto
matrimoniale: sembra che l’amore di un figlio per una “mamma single” può –
serenamente e senza conseguenze – sostituire l’amore per l’uomo…

October Baby
(di Jon e Andrew Erwin, 2011)

È un film molto delicato, tratto (in parte) da una storia vera, sul tema
dell’aborto. Parla di una ragazza, Hannah, che sopravvive a un’interruzione
di gravidanza (perché i medici sbagliano l’intervento) e viene data in
adozione. A 16 anni, la ragazza viene a sapere la verità, trova la madre
biologica, che però la allontana. Ha un buon lavoro e una famiglia, adesso:
non vuole essere “disturbata dal suo passato”.

Soltanto dopo varie vicissitudini, di fronte al perdono della figlia,
la donna farà pace con la sua storia.

October baby
mostra – senza retorica – quali

sensi di colpa e quale imbarazzo ci possono essere (anche col passare
del tempo) in una persona che ha abortito

. Dall’altro ci mette davanti al

senso di abbandono con cui deve fare i conti una ragazza che scopre di
“essere al mondo per errore”

.

Tuttavia, siamo di fronte a una storia di riconciliazione, non di condanna.
Hannah capisce infatti che l’unico modo per vincere il rancore e lo
sgomento che ha dentro è il perdono.

La grandezza del film sta nel presentare i fatti con rispetto, nella loro
verità e drammaticità, senza però giudicare chi li compie.

Colpisce in particolare un’intervista all’attrice che interpreta la mamma
biologica, la quale afferma: “Mi è stato chiesto di svolgere questa parte
senza che nessuno sapesse il mio passato, visto che lo avevo nascosto a
tutti, perfino a me stessa: io avevo praticato un aborto e recitare questa
parte, in questo film, mi ha portato a fare i conti con me stessa. Mi ha
portato a chiedere perdono a Dio per qualcosa che avevo rimosso, ma dentro
faceva ancora male. E finalmente ho sentito quel perdono, ho trovato pace”.

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