Matrimoni forzati e combinati: quando sposarsi non è una scelta
Nel lontano Settecento, l’unione nuziale di giovani aristocratici avveniva
prevalentemente per preservare il proprio patrimonio economico, per
sugellare “indissolubilmente” legami tra diverse famiglie e dunque
garantire una posizione di maggior rilievo nella società per entrambe.
Tutto avveniva secondo precise disposizioni date dai genitori, sia da una
parte che dell’altra.
La donna avrebbe conosciuto l’identità il suo futuro marito ancora
fanciulla, per poi sposarlo non appena uscita dal Convento – rifiutarsi era
un’azione socialmente inaccettabile ed offensiva nei confronti della
propria e altrui famiglia.
Quella dei matrimoni combinati e forzati, è una pratica che trova le sue
origini ancor prima del XVIII secolo: la coemptio era un rito
nuziale piuttosto diffuso risalente tra il I ed il II secolo. Epoca romana
antica, dunque, nel quale un padre poteva porre un atto di vendita alla
propria figlia cosicché, chiunque l’acquistasse, acquisisse il pater familias della stessa. Insomma, che divenisse di sua
proprietà.
E ancora: altri esempi si possono trovare nella mitologia greca, con Ade
che rapisce Persefone costringendola a diventare sua sposa senza che queste
potesse in alcun modo opporsi.
Qual è la differenza tra matrimonio forzato e combinato?
Moralmente si potrebbe tranquillamente dire che non vi è alcuna differenza
tra matrimonio forzato e matrimonio combinato poiché entrambe vanno a
negare il diritto di libertà, di scelta, degli individui coinvolti. Ciò che
nella teoria differisce le due pratiche è, in alcuni Paesi, solamente il
punto di vista giuridico nel quale vengono poste. In sostanza: un
matrimonio forzato è quando la persona coinvolta “esprime”
il suo dissenso al riguardo ma questo viene represso dall’uso della
violenza, della forza per l’appunto, arrivando in molti casi anche
all’omicidio.
È altresì combinato quando il rifiuto di una parte, o
entrambe, coinvolte non avviene, indipendentemente dal perché:
nella maggioranza dei casi, la costrizione in tal caso è implicita. Si è
liberi di rifiutarsi ma le conseguenze di ciò vanno a ridefinirsi sul lato
sociale della famiglia stessa. È per loro un disonore, una macchia
indelebile; uno spreco di opportunità per una vita più dignitosa,
un patto non rispettato.
Non vi è dunque una concreta differenza nelle due definizioni giacché il
modus operandi è in linea di massima lo stesso.
Le realtà odierne ancor socialmente legate a culture arcaiche, che si
rifanno agli esempi storici prima citati, sono per lo più da ricercarsi in
alcune aree del mondo con un alto tasso di povertà ed istruzione quasi
assente. L’assenza di diritti, il ruolo della donna all’interno di queste
comunità ridotto alla schiavitù, “giustificano” la svendita dei figli dalle
loro famiglie poiché considerato l’unica fonte di guadagno dal quale trarvi
massimo giovamento.
Messi al mondo per essere venduti.
Benché queste pratiche violino i Diritti Fondamentali dell’essere umano, la
loro diffusione è tanto ampia quanto radicata che riuscire a scongiurarla è
purtroppo un’impresa assai ardua. Come detto prima, la sua espansione va
propagandosi lì dove l’istruzione si mostri deficitaria a causa della
povertà dilagante, di conseguenza non vi è alcun progresso socio-culturale
che possa favorirne l’interruzione.
Secondo l’UNICEF,
il fenomeno dei matrimoni combinati e forzati colpisce particolarmente
fasce di età molto giovani di ragazze e ragazzi
, continuando ad essere piuttosto diffuso in quasi tutte le regioni del
mondo: dall’Africa Subsahariana all’America Latina, dall’Asia meridionale
sino all’Estremo Oriente per poi toccare anche l’Oceania.
Save The Children
, in un rapporto emanato nel Settembre del 2020, ha reso noto di quanto la
crisi economica globale scatenato dal pieno della pandemia, ha
ulteriormente contribuito nell’espansione del fenomeno. Nel 2020, sono
circa 500.000 le giovani vite costrette ad abbandonare la
propria purezza, la propria adolescenza, i propri sogni, per convolare a
nozze.
La pratica dei matrimoni infantili non solo spazza via quelli che sono i
diritti fondamentali dell’Infanzia, ma pone in serio pericolo la vita
stessa delle ragazze coinvolte:
“[…] 1 milione in più di gravidanze precoci, causa principale di
morte per le ragazze tra i 15 e 19 anni.”
Si evidenzia, nel rapporto di Save The Children prima citato, quanto una
simile piaga culturale possa essere fatale non solo dal punto di vista
sociale (discriminazione di genere); dal punto di vista culturale
(impossibilità nel proseguire con gli studi), psicologico (non sono rari
casi di suicidio) e sanitaria (gravidanze precoci, mutilazioni genitali,
violenza domestica).
Come riuscire a debellare tali atrocità?
Molte le campagne di sensibilizzazione per portare alla luce questo
fenomeno culturale. Perché per quanto globalmente conosciuto, è difficile
per le società maggiormente industrializzate e socialmente paritarie,
immaginare che vi siano tuttora realtà totalmente opposte rispetto alle
loro.
È fondamentale conoscere e comprendere il dramma che vivono milioni di
donne, uomini, bambini e bambine; aiutare con una semplice donazione, con
reali e concreti investimenti economici atti ad implementare un’istruzione
adeguata, ad aiutare le donne che scappano dalle gabbie nelle quali son
state rinchiuse e offrire loro la giusta protezione.
Non c’è cultura o necessità che giustifichi la svendita di persone come
oggetto o la mercificazione della propria persona come mezzo per favorire
un’azione illegale, come ad esempio i matrimoni combinati al fine di
ottenere permessi di soggiorno.
Fingere che la cosa non possa toccarci o che non ci riguardi perché lontana dal nostro quotidiano non è la soluzione: siamo esseri
umani, siamo liberi, e ciò deve valere per tutti.